Una scoperta fortuita a Leros
Dopo aver ricevuto da Roma una serie di messaggi di Luciano Alberghini con i quali mi comunicava di essere venuto a conoscenza che nell’isola di Leros era stato scoperto un antico tunnel e mi invitava ad interessarmi alla vicenda, ho provveduto a recarmi nella località indicata: “Platano presso l’antico tribunale”, ma non ho trovato niente. Ho cominciato pertanto a chiedere in giro se qualcuno fosse a conoscenza del ritrovamento. Mi viene riferito che forse la galleria si trova sulla strada lungomare tra Agia Marina e Krithoni. Una volta giunto sul posto noto una grossa ruspa gialla, un paio di camion parcheggiati e uomini al lavoro. Sulla strada sono posizionati dei vistosi coni bianco-rossi atti a delimitare il lato verso il terrapieno dove scorgo, con mia grande sorpresa, l’imbocco della galleria (foto 1 e 2). L’ingresso è quasi completamente ostruito dalla terra. Faccio domande, ma non ottengo risposte se non quella di rivolgermi alla Polizia.
Parte l’indagine
Riferisco a Luciano il tutto ed egli mi invia una mappa presente in un libro del 1888 (foto 3) nella quale viene indicato un tunnel che parrebbe unire Agia Marina a Drymonas. Le due località si trovano su lati opposti dell’sola nel punto più stretto della medesima e la loro distanza si aggira su poco più di un chilometro. Osservando con attenzione l’antica cartina (foto 4) noto l’identità col luogo del cantiere poco prima descritto, ma a qual punto mi sorgono dei forti dubbi. Infatti, se è pur vero che l’isola è piena di gallerie e cunicoli costruiti un po’ ovunque dagli italiani a scopo militare quali rifugi in caso di bombardamenti o come depositi di munizioni o altro, il tunnel tracciato sulla mappa farebbe risalire lo scavo a non meno di cento anni prima. Che scopo poteva avere un collegamento del genere? E poi a quell’epoca, alla fine dell’Ottocento oppure ancor prima, perché si sarebbe deciso di scavare nella roccia una galleria lunga un chilometro? Fantascienza? Che storia … chissà! Un giallo. I dubbi erano tanti, ma recatomi successivamente dal signor Frantzesko Di Pierro, nominativo segnalatomi da Alberghini, prendo visione del libro da cui è stata ricavata la mappa e successivamente con la traduzione effettuata da una conoscente scopro che non si tratta di un tunnel, ma di ben altro. Il tracciato è denominato nella cartina con la dizione “muro di ferro”, ma con tutta probabilità e più verosimilmente doveva trattarsi di uno steccato in legno. Esso aveva la finalità di separare i terreni posti a Nord da quelli a Sud per fare in modo che gli animali non invadessero l’altro fronte. Era in uso, infatti, allo scopo di rendere più fertili i terreni, far pascolare gli animali alternativamente un anno da una parte e un anno dall’altra. Ecco la ragione dell’esistenza di questa palizzata in un primo tempo ritenuta da parte nostra, ma erroneamente, una galleria.
Scoperto il mistero
Chiarito il “mistero” quindi appare chiaro che il tunnel appena rinvenuto è stato realizzato dagli italiani durante la loro permanenza a Leros. Si tratta con certezza di un riparo che poteva essere utilizzato dalla cittadinanza o dai militari durante le incursioni aeree oppure poteva trattarsi di un ricovero per feriti e/o gasati. Infatti con l’utilizzo delle armi chimiche come il fosgene e l’ yprite che si era fatto durante il corso della Prima Guerra Mondiali, si temeva che ciò potesse accadere ancora, ma fortunatamente ciò non avvenne mai. Nell’isola di costruzioni di quel tipo, scavate nella roccia e finalizzate a scopo di protezione ne esistono molte a partire da quella, la più importante, che si trova nell’area dell’ospedale di Lakki. Al suo interno, In caso di incursioni aeree, durate le quali venivano effettuati mitragliamenti e bombardamenti, potevano essere trasferiti tutti gli ospiti del nosocomio. Questo ricovero è molto vasto, munito di tre ingressi/uscite ed è costituito da un reticolo di corridoi nei quali è stata ricavata pure una completa sala operatoria (foto 5). Va precisato che sparsi in molti punti nell’isola esistono parecchi tunnel o meglio cunicoli ricavati nella roccia di dimensioni più ridotte rispetto a quello recentemente scoperto. Le loro imboccature erano difese da robusti muri in cemento armato o in pietra, sfalsati tra loro, che ne occludevano l’accesso per oltre il cinquanta per cento onde impedire l’entrata di eventuali colpi o schegge. Questi cunicoli furono realizzati a forma di “U” per permettere all’onda d’urto provocata dall’esplosione degli ordigni di fuoriuscire dall’altro lato, evitando così la tremenda compressione dell’aria che sarebbe stata fatale per gli occupanti (foto 6). Dove questi condotti avevano altri sviluppi furono realizzati corridoi a zig-zag finalizzati a rompere e quindi a diminuire il colpo d’aria. L’ultimo tunnel ritrovato ad Agia Marina, oggetto di questa ricerca, è profondo una ventina di metri, è alto circa due metri e mezzo ed è largo più o meno un metro e mezzo (foto 7 e 8). Attualmente non presenta al suo ingresso alcuna protezione di sorta, ma è probabile che essa possa essere stata rimossa in antecedenza oppure dagli operai durante gli scavi. Subito dopo il ritrovamento, in modo del tutto improprio è stato realizzato sull’ingresso un restauro in cemento che ne ha snaturato purtroppo l’aspetto originale (foto 9). Da informazioni raccolte sono venuto a conoscenza, in via generica e non ancora provata, del fatto che sull’isola di costruzioni similari a quest’ultima ne esistono altre.
Altri tunnel ricovero
Esse dovrebbero trovarsi nelle seguenti località, anche se non se ne conosce l’esatta collocazione: una si troverebbe ad Alinda nei pressi di Pirgo Belleni. Altre tre, ad uso infermeria, si trovano all’idroscalo di Lepida, a Porto Rina di Pandeli e un’altra ancora, forse, all’Arsenale di Parteni. Esistevano poi altri ricoveri di primo pronto soccorso, quelli che noi oggi denominiamo PMA (Punto Medico Avanzato) che si troverebbero, uno all’Anghira e l’altro nei pressi del Monte Merovigli.
Ringrazio per la collaborazione: Luciano Alberghini Maltoni, Frantsescko Di Pierro, Luigi Cuccoli, Alexandra Marchi, Enzo Bonanno e Franco Sorbi.