Il periodo cavalleresco
tratto dal libro di Gino Manicone “Rodi sposa del sole” edizioni La Monastica
LA STORIA DEL PERIODO CAVALLERESCO, I GRANDI MAESTRI, LO SVILUPPO DEI COMMERCI E L'ESPANSIONE DEL DOMINIO DEI CAVALIERI SULL'EGEO, IL CONTRASTO DELLA POTENZA OTTOMANA, GLI ASSEDI ALLA CITTÁ DI RODI.
Nella storia di Rodi l’epoca cosidetta «Cavalleresca» va dall’anno 1308 all’anno 1322. Si tratta di un segmento storico di 214 anni in cui le sorti della città e dell’isola furono strettamente legate all’Ordine Cavalleresco dei «Giovanniti» che operarono nel seno della controversa vicenda delle Crociate. Come tale l’isola di Rodi divenne il punto nodale dei traffici dei Cristiani verso la Terra Santa e quindi obiettivo primario delle mire e delle scorrerie dei Sultani di Costantinopoli che mal tolleravano tale agguerrito avamposto del Papa di Roma in un luogo distante appena un tiro di schioppo dalle coste anatoliche. L’Ordine Cavalleresco dei Giovanniti ebbe origine l’anno 1048 in Terra Santa ed aveva all’inizio finalità del tutto spirituali e filantropiche rivolte soprattutto in favore dei pellegrini che visitavano i luoghi della vita e della morte di Gesù. A tale titolo, infatti, auspici alcuni mercanti Amalfitani, i Giovanniti riuscirono a costruire nei pressi del Santo Sepolcro una chiesa cristiana, dedicata alla Vergine dei Latini ed un Ospizio per il ricovero dei pellegrini, dedicato a San Giovanni Battista da cui derivò, appunto. il nome di Giovanniti. Detto Ordine laico-monastico venne riconosciuto dal Pontefice Pasquale Il con la bolla del 15 Febbraio 1113. I Giovanniti vennero in seguito conosciuti anche con il nome del luogo in cui governarono e nella storia li troviamo anche con il nome di Cavalieri di Rodi e Cavalieri di Malta. È interessante evidenziare che fra i numerosi Ordini Cavallereschi nati durante le Crociate solo i Giovanniti sono pervenuti fino ai nostri giorni. come attesta lo SMOM (Sovrano Militare Ordine di Malta) attualmente con sede a Roma e riconosciuto come Ordine Sovrano dalla Comunità Internazionale.
Come già accennato i Cavalieri prevennero al possesso di Rodi dopo la caduta di San Giovanni d’Acri nelle mani dei Musulmani. In tale occasione furono costretti ad abbandonare la Terra Santa e rifugiarsi nell’isola di Cipro, ospiti del Re Enrico di Lusignano nella città di Limisso (Limassol). Il loro spirito di servizio verso la Chiesa Cattolica e la loro vivace intraprendenza nella difesa della fede mal si conciliava però con la vita sedentaria che le offriva l’ospitalità di Cipro specie in un momento tanto cruciale per le sorti dell’influenza Cattolica sui Luoghi Santi. Dopo la morte del Gran Maestro dell’Ordine fra Guglielmo de Villaret, un poco per nepotismo e un poco per meriti personali il Capitolo dei Giovanniti elesse alla prestigiosa carica un suo diretto nipote: Foulques de Villaret, un personaggio assai diverso della personalità mistica dello zio perché molto deciso e intraprendente. Egli si diede subito da fare per rompere l’esilio dorato di Limisso e cercare un altra sede più confacente allo svolgimento della loro particolare Missione.
GRAN MAESTRO FOULQUES DE VILLARET
Le sue mire s’indirizzarono subito verso l’isola di Rodi che in quel momento, pur facendo parte della grande Koinè Bizantina, risultava, come già detto, una terra assai sguarnita e perciò alla mercè di tutti gli avventurieri che frequentavano il mare Egeo. Il Gran Maestro prese accordi con l’Ammiraglio corsaro genovese Vignolo de Vignoli, concertando un’azione comune contro l’isola di Rodi. La spedizione vista dal Villaret come una passeggiata invece andò a finire come un’avventura visto che il Gran Maestro dovette penare quasi tre anni per venirne a capo. Con tutto ciò furono alquanto fortunati, perché trovandosi in quel momento l’Imperatore Bizantino Andronico Il Paleologo impegnato nella difficile campagna di Siria ed in altre contese non fu in grado di distogliere dal suo esercito le forze necessarie da inviare alla difesa di Rodi, altrimenti il Villaret avrebbe sicuramente pagata cara la sua superba intraprendenza. Scendendo ai particolari dell’operazione Rodi, il Gran Maestro Giovannjta il 26 giugno 1306, radunò una modesta squadra navale composta da due galere, una fusta e tre navi minori, con a bordo 35 cavalieri, 6 turcopilieri (cavalleria) e 500 fanti e si avvio alla volta dell’isola. Durante il viaggio alla piccola flotta crociata si aggiunsero anche due galere fatte armare dal Vignoli. Di concerto navigarono fino all’isola di Castelrosso dove presero terra per poi proseguire alla volta di Macri situata proprio dirimpetto all’isola di Rodi, per attendere il momento più favorevole per l’attacco. Tale momento giunse il 20 settembre 1306 e non appena la squadra raggiunse le acque dell’isola gli armati sbarcarono nella costa orientale occupando subito il castello di Feraclo, difeso da una modestissima guarnigione bizantina. Il giorno 25 settembre da Feraclo, ubicato fra i villaggi di Arcangelo e ‘Lindo, si avviarono verso Rodi tentando un attacco contro la città ma senza successo per la rabbiosa reazione dei difensori per cui le posero assedio. Tale condizione tanto logorante non solo per i difensori ma soprattutto per gli attaccanti assolutamente privi di rifornimenti dall’esterno durò molti mesi. Il giorno 11 novembre dello stesso anno tentarono una favorevole sortita ed occuparono il castello del Fileremos, ma l’aquila bizantina continuò ancora per molto a sventolare sulle torri quadrate della città di Rodi. Tale imprevisto ristagno nelle operazioni, che a tavolino avevano ‘preventivato come brevi e sicure, misero, a dura prova anche l’intraprendenza del Villaret che rompendo ogni ulteriore indugio decise di rivolgersi direttamente all’Imperatore Bizantino, proponendogli, alla resa della città, di sottomettersi alla sua giurisdizione e di fornirgli anche 500 cavalieri per la campagna che l’Imperatore aveva in quel momento in atto contro di Persiani. Andronico 11 Paleologo respinge con sdegno l’offerta del Gran Maestro Giovannita e come testimonianza del suo interesse per l’isola inviò a Rodi una nave carica di vettovaglie che ‘naturalmente finì nelle mani degli assedianti e Dio solo sa quanto ne avessero bisogno in quel momento. Visto sfumare miseramente l’approccio tentato verso l’Imperatore di Costantinopoli il Villaret non si diede per vinto e si rivolse al Papa Clemente V che assurdo ma vero, con la bolla del 5 settembre 1307 diede l’investitura dell’isola al Gran Maestro Giovannita. Come è del tutto evidente il rescritto del Pontefice Romano non aveva alcun valore giuridico in quanto concedeva l’investitura di una terra assolutamente estranea alla sua sovranità ma tali formalità di natura, per così dire, burocratica durante il burrascoso periodo crociato rappresentavano solo un inutile eufemismo. Al Pontefice interessava solo il fatto di vedere sorgere un nuovo Stato cristiano in un punto assai caldo dell’area mediorientale; un nuovo baluardo della frontiera della cristianità. La città di Rodi continuò, comunque, a resistere all’invasore e solo il 15 agosto del 1808 si arrese al Villaret ma alla condizione della salvezza della vita e dei beni di ogni cittadino. Dopo l’occupazione della città gli accordi presi con l’Ammiraglio Genovese vennero puntualmente rispettati ed a lui venne assegnato il castello di Lardos e un terzo dei proventi dell’impresa che furono minimi. L’insediamento dei Giovanniti a Rodi, sotto il profilo economico e lo’gistico fu sicuramente pesante per le finanze dell’Ordine ed il Gran Maestro fu costretto ad indebitarsi con i banchieri fiorentini Bardi e Peruzzi per 575.000 formi d’oro e con la Camera Apostolica per 900 Ducati d’oro. Per loro fortuna solo dopo tre anni e cioè nel 1312 il Papa Clemente V con la bolla del 3 aprile soppresse l’Ordine dei Templari che tanta parte aveva avuto nella difesa dei Luoghi Santi e molti beni di pertinenza ditale Ordine, scampati alla famelica rapina di Filippo il Bello, vennero donati ai Giovanniti che migliorarono con quel «mors tua vita mea» i loro conti economici anche se molti cavalieri non gioirono per la sorprendente combutta tra il Papa e il Re di Francia. Bisogna riconoscere, però, che la vita dell’Ordine di San Giovanni, pur nelle alterne vicende della storia è stata una esaltante epopea che si è senz’altro distinta da tutto il complesso storico scaturito dalle Crociate. Molti sarebbero gli episodi esaltanti ed i sacrifici salienti riferiti ai Giovanniti e degni di notazione storica ma questo lavoro è finalizzato solo a tratteggiare i lineamenti della storia di Rodi per cui il discorso sull’epoca cavalleresca sarà limitato agli avvenimenti importanti svoltisi a Rodi ed agli atti più incisivi dei 19 Gran Maestri dell’Ordine che esercitarono il governo in detta isola. Le antiche cronache cavalleresche danno del Gran Maestro conquistatore di Rodi una immagine assolutamente impropria e falsata, dipingendo l’intraprendente cavaliere francese come un uomo proclive al lusso ed alla magniloquenza. Un modo di vita assai distante dal voto di povertà imposto dall’Ordine ai suoi adepti, un impenitente dissipatore da allontanare dalla prestigiosa carica in nome dei sacri principi monastici.
Un capitolo straordinario, autoconvocatosi nel convento di Rodi, pilotato soprattutto dai suoi avversari, lo destitui dalla carica, eleggendo al suo posto il cavaliere fra Maurizio de Pagnac. Il Villaret per proteggere la sua vita e curare la sua cocente delusione si ritiro nel castello di Lindo, aspettando tempi migliori. Nessuno in quel momento si rese conto che l’Ordine Giovannita con la conquista di Rodi aveva fatto un grosso salto di qualità e da una semplice confraternita pietistica era divenuto di punto in bianco protagonista di uno Stato. Uno Stato con le sue leggi, il suo territorio, i suoi abitanti e tutti gli specifici attributi per presentarsi all’esterno con una veste di potenza e rispetto. Che valore avrebbe potuto avere uno Stato mistico e di natura conventuale di eroi e penitenti quando nella dirimpettaia Anatolia aleggiava il fasto bizantino e dall’altro lato della costa Turchesca facevano già capolino gli ardimentosi Ottomani. Il De Pagnac non riuscì, però, mai ad indossare la croce d’oro che simboleggiava la dignità del Capo perché il Pontefice intervenendo nella incresciosa vicenda riabilitò il vecchio Gran Maestro. Si trattò, però, di un provvedimento di solo valore morale perché i poteri dei Villaret vennero fortemente ‘limitati nell’ambito della sfera economica; una riabilitazione salomonica per non scontentare nessuno. Oltre alla creazione d’elio Stato ‘Cavalleresco di Rodi, fra i meriti del Vilaret va ricordato soprattutto il provvedimento di affranco della popolazione isolana che fu sollevata, finalmente dal secolare servaggio in cui fino ad allora era stata tenuta, creando quelle favorevoli premesse per la sua associazione alla difesa dell’isola che nei decenni successivi puntualmente si verificò e fu di grande aiuto durante gli assedi portati dai Sultani Ottomani. Si deve tener presente che la stragrande maggioranza della popolazione che viveva nell’isola era di religione Ortodossa ma tale differenziazione lu del tutto superata negli anni avvenire per gli effetti del Conci]ìo di Firenze del 1431 le cui decisioni vennero introdotte nell’isola il 13 dicembre 1452 e rese operative p’er l’associazione alla difesa nel 1474. Nel Concilio di Firenze partecipò il Metropolita di Rodi Nataliel il quale aderì all’unione con la Chiesa di Roma. Nel 1474 ci fu l’accordo tra l’Arcivescovo Cattolico di Rodi ed il Metropolita Metrofane. La Chiesa Ortodossa dell’isola ritornò allo scisma solo dopo l’occupazione Ottomana quando riconobbe nuovamente la supremazia ‘del Patriarcato Ortodosso di Costantinopoli.
GRAN MAESTRO FRA ELIONE DE VILLANUEVE
Alla morte del Villaret avvenuta l’anno 1323 il Capitolo Giovannita si tenne presso la Sede Papale di Avignone, alla presenza del Sacro Collegio Cardinalizio, attestando così la grande importanza ‘che il Pontefice attribuiva ai Giovanniti. Venne eletto alla prestigiosa carica di Gran Maestro fra Elione de Villanueve, un personaggio molto in vista nella Corte Pontificia e dal quale le autorità della Chiesa speravano di avere concreti aiuti per la realizzazione di una Lega navale cristiana, sostenuta soprattutto dai Genovesi e dai Veneziani e cioè una nuova Crociata che per obiettivo non aveva i luoghi Santi, ma unicamente il contenimento della marineria Turca nell’Egeo orientale. Detto con un linguaggio più chiaro, il ritorno ‘dell’egemonia delle due Repubbliche marinare nei traffici mediorientali ai quali, secondo il Pontefice, anche Rodi doveva ritenersi assai interessata. La speranza di Giovanni XXIII riuscì, a concretìzzarsi solo dopo alcuni anni, sotto il pontificato di Clemente V che poté, finalmente, mettere insieme una flotta di 20 galere (4 della Camera Apostolica, 5 di Venezia, 5 del Re di Cipro e 6 dell’Ordine Giovannita), ponendola sotto il comando dell’ammiraglio genovese Zaccaria. La prima operazione realizzata da tale flotta fu la presa di Smirne, che rimase, poi, sotto il governo dei Cavalieri fino all’anno 1408. Durante l’operazione contro Smirne morì il Comandante Zaccaria e venne sostituito dal giovannita fra Giovanni da Briandate di origine lombarda. Da quel momento e per la prima vo1ta una flotta portò le insegne dell’Ordine di San Giovanni. Ritornando a Fra Elione, dopo la nomina a Gran Maestro e prima che partisse alla volta di Rodi, attese ad estinguere i debiti sia verso la Camera Apostolica sia verso i banchieri fiorentini. A tale scopo riunì un Capitolo nella città di Montepellier per imporre tasse e tributi vari ai vari Priorati europei da pagarsi alla Tesoreria dell’Ordine ogni anno in occasione della festività di San Giovanni. Per tasse e tributi a carico delle Commende e dei Priorati europei, Rodi rappresentò un vero pozzo senza fondo, perché grandi erano le necessità per mantenere sempre in efficienza un posto di frontiera così importante per la cristianità, sempre minacciato dagli Ottomani ed anche preda di calamità naturali. A Rodi si distruggeva e si ricostruiva in continuazione come si trattasse di una assurda condanna durata 214 anni. Fra Elione giunse a Rodi l’anno 1332. Egli continuò l’opera già intrapresa ‘dal Villaret, accrescendo soprattutto la potenzialità difensiva dell’isola. Fra le varie costruzioni dedicate alla difesa va ricordata la realizzazione del munito castello di difesa situato nella costa settentrionale dell’isola conosciuta come Villanova. Tale castello ebbe importanza anche per le epoche successive perché abitato dai Pascià turchi fino al 1912 e poi abitato anche dal Governatorato Italiano, come residenza estiva, fino al 1943.Alla sua morte Fra Elione lascio l’Ordine privo di debiti e la città cli Rodi rifornita di ogni cosa. A ben ragione è ricordato dalla storia come il «Rettore Felice». Fra i meriti del Villanueve va ricordato anche quello di aver reintrodottà nell’isola di Rodi la lavorazione artistica della ceramica attraverso valenti ceramisti persiani caduti prigionieri dei eavaheri durante gli scontri navali nel mare Egeo. Tale tradizione venne incrementata durante il periodo di sovranità dell’Italia, dalla Società ICARO dei maestri di Faenza e possiamo dire che anche al presente costituisce un capitolo importante dell’economia turistica dell’isola.
GRAN MAESTRO FRA DEODATO DE GOZON
Alla morte del Villanueve avvenuta l’anno 1346, il Capitolo dei Gicvanniti, riunitosi nel convento di Rodi, elesse alla carica di Gran Maestro il suo Luogotendnte, il cavaliere fra D’eodato de Gozon, storicamente conosciuto come il «dragone extintor». Anche se durante il suo governo il De Gozon non ebbe mai a de-meritare, si deve riconoscere che aveva una personalità assolutamente originale, per non dire assai sconcertante. Il D’e Gozon, riuscì, infatti, a suscitare la credibilità popolare intorno ad un episodio del tutto fantasioso: l’uccisione del mostro del Malpasso, una storia ‘di caccia alle streghe della [avolistica medioevale che risparmiamo per serietà ai lettori, ma che ebbe sicura influenza Fra Deodato morì il 7 dicembre 1353 e venne sepolto nella chiesa magistrale di San Giovanni al Collacchio.
FRA PIETRO DE CORNEILLAN
A Fra Deodato successe fra Pietro de Corneillan, priore di San Gilles, che resse la carica solo due anni. Pur nella brevità del suo mandato espresse un carattere deciso e severo nelle questioni della disciplina e della morale perfettamente in linea con la sua profonda spiritualità. La storia lo ricorda giustamente come «correttore dei costumi».
FRA RUGGERO DES PINS
A fra Pietro successe nell’anno 1355 fra Ruggero des Pins anche lui provenzale. Durante il suo governo l’intera regione Rodi compresa, venne afflitta da una tremenda pestilenza unita a grande carestia. Il Gran Maestro si adoperò al massimo per acquistare granaglie iu Europa per sollevare il popolo rodiota dall’indigenza, arrivando a vendere perfino suppellettili preziose. In tale disastroso frangente il De Pins preoccupato ed avvilito chiedeva aiuti a destra e a manca per la sua martoriata isola. Per tale ragione è conosciuto come «l’elemosiniere».Durante il suo governo portò aiuto al Re ‘di Cipro per la conquista di Satalia (Adalia) e di Gorligos, due città situate nel golfo di Alessandretta, meritandosi la riconoscenza del Pontefice (1302). Tutto ciò a ben ragione in quanto trovandosi in tale periodo i potentati europei impegnati nella guerra dei cent’anni, non furono in grado di rispondere alla Crociata bandita da Urbano V ed il Re di Cipro fu costretto a difendersi da solo contro gli attacchi sempre più pressanti dei musulmani. Anche nel campo culturale l’attività del Des Pins fu molto intensa. Si deve, infatti, a lui la traduzione in latino degli Statuti dell’Ordine che raccolti in volume furono, poi, inviati a tutte le Commende cd a tutli i Priorati cristiani La maggioranza dei cavalieri era composta spesso dai viziati rampolli delle varie dinastie europee. Per molti di essi più che la fede, premeva indossare il prestigioso abito cavalleresco. Dopo il necessario periodo di iniziazione trascorso sempre nel convento di Rodi, ai pericoli ed alle fatiche di un ambiente permanentemente in stato di guerra, preferivano la vita comoda delle Commende e le affettuose attenzioni di mammà, per cui la guarnigione di Rodi si riduceva spesso a poche centinaia di persone con grave pregiudizio delle necessità di difesa. L’anno 1358 il Sultano Ottomano Amurat con una rapida azione s’impadroni di Gallipoli, destando notevole allarme nel convento di Rodi. Il Gran Maestro des Pins prendendo finalmente atto della sconcertante situazione delle forze stabilmente presenti nell’isola, emanò un severo provvedimento di richiamo per tutti gl’imboscati europei, obbligandoli nominativamente a raggiungere con ogni urgenza l’isola di Rodi. Si trattò di 63 cavalieri francesi e spagnoli e 37 italiani, inglesi e alemanni.
FRA RAIMONDO BERENGER
Alla morte del Des Pins venne eletto alla carica di Gran Maestro il cavaliere provenzale fra Raimondo B.erenger che ricopriva la carica di Comrnendatore di Castel Saraceno. Il Capitolo Generale si svolse il 15 marzo 1R6~ presso la Corte Papale di Avignone. Fra Raimondo per aver svolto alcune missioni conciliatrici per conto del Pontefice è storicamente ricordato come «mediatore di pace» anche se il suo temperamento era alquanto bellicoso visto che decise una sconsiderata operazione bellica contro il Sultano d’Egitto, creando le premesse di futuri guai per l’isola di Rodi. Accordatosi con il Re di Cipro, allestì una squadra navale che tra grossi e piccoii arrivava a circa 100 legni sui quali imbarcarono un gran numero di cavalieri e soldati francesi e spagnoli, fatti giungere appositamente da Venezia. In gran segreto queste forze fecero rotta verso l’Egitto. Dove appena giunti, assalirono di sorpresa la città di Alessandria, passando a fil di spada gran parte dei difensori caduti prigionieri. Alla notizia del proditorio attacco il Sultano, fremente di rabbia, radunò ie sue schiere e mosse subito contro gli invasori. Vista la mala parata l’armata dei cavalieri e quella cipriota, dopo aver saccheggiato e appiccato il fuoco in più punti della città, ripresero frettolosamente il largo. Non appena constatata «de visu» la grande tragedia il Sultano iniziò febbrili preparativi per la rivincita da sfogare naturalmente su Rodi e su Cipro. Dando corpo al famoso detto che «il giudizio arriva sempre in ritardo» il Gran Maestro, preoccupato delle intenzioni rivendicative del Sultano d’Egitto, si mise subito all’opera per rinforzare le difese dell’isola, esigendo ancora denaro, mezzi ed uomini dalle sedi europee dell’Ordine Acquistò, infatti, d’urgenza 500 corazze, 500 golette, 500 celate e 200 bolsoni da balestra dalla celebre fabbrica di armi di Pavia. In quel periodo giunsero a Rodi numerose famiglie profughe dalle regioni Ottomane e fra Raimondo, con il consenso del Consiaiio. decise di accettare i profughi, destinandoli all’isola di Coo, dove ebbero assegnato il villaggio di Cefalo. Vennero inoltre riforniti dell’ essenziale per vivere e di 25 paia di buoi per le lavorazioni agrarie cia pagare nell’arco di due anni. Nello stesso anno (1366) il Gran Maestro Berenger concesse in feudo le isole di Piscopi e Calchi a Barello Assanti di Ischia per 200 formi d’oro all’anno. riservandosi però. il dominio su tali terre nonché i falconi per il diletto del Gran Maestro e cosa assolutamente sconcertante per un cristiano «le prede di tutti i naufragi che fossero avvenuti in dette coste».Con l’aiuto dei Veneziani riuscì, comunque, a calmare le ire del Sultano d’Egitto (tregua del 1370) salvando da sicura strage sia Rodi che Cipro. Morì il 13 febbraio 1374.
FRA ROBERTO DE JUILLY
Dopo la morte del Berenger successe nella carica di Gran Maestro Fra Roberto de Juiliy, originario di Linguadoca, Priore di Francia. Dopo l’elezione e prima che dall’Europa si mettesse in viaggio per Rodi, il nuovo Gran Maestro ebbe d’al Papa anche l’incarico di assumere la difesa cli Smirne no’n avendo più il Pontefice fiducia verso il genovese Ottobono Cattaneo, governatore della città, affiancando all’incarico un contributo in danaro di 3000 fiorini d’oro da pagarsi dalla Camera Apostolica. A causa dell’indisciplina che regnava nel convento di Rodi il Gran Maestro affrettò la partenza per l’isola dove giunse l’anno 1375. Come ‘primo atto intervenne nella organizzazione interna del Governo, ripristinando l’ordine in tutti i settori, migliorando così le condizioni materiali e spirituali dei Cavalieri che erano alquanto scadute. in vista dell’aumentata potenza Ottomana, riunì un ‘assemblea in Avignone, ‘dalla quale venne disposta la partenza per Rodi di altri 500 Cavalieri, accompagnati da altrettanti frati serventi. Poco dopo e cioè il 29 giugno 1376 fra Roberto morì e venne sepolto nella chiesa magistrale.
FRA GIOVANNI HERNANDEZ DE HEREDIA
Al Juil’ly successe nella carica di Gran Maestro un valoroso uomo d’arme spagnolo, fra Giovanni Hernadez Heredia, stimato consigliere di Papi e di Principi. Al momento dell’elezione ricopriva la carica di Priore di Catalogna e Castellano d’Emposta, carica quest’ultima che determinò grave scontento fra i cavalieri provenzali. Il de Heredia su incarico del Pontefice aveva diretto i lavori di fortificazione d’ella città di Avignone e dava, quindi, piena garanzia di poter governare un isola cristiana costantemente posta nell’occhio del ciclone, come era quella di Rodi. Altra importante prova di attaccamento alla Chiesa Gian Fernando l’aveva già data il 20 ottobre 1373 quando comandò le 22 galere che riportarono il Pontefice Gregorio XI a Roma, guadagnandosi la riconoscenza dello stesso Papa. Dopo la nomina magistrale partì dalla Spagna alla volta di Rodi ma fece tappa in Morea (Peloponneso) per portare aiuto ai baroni cristiani del luogo, attaccati da tutte le parti dagli Ottomani. Dopo aver recuperata ai cristiani Lepanto ed assaltata Arta, mentre si dirigeva alla volta di un sito vicino, cadde in un imboscata tesagli dagli Albanesi che lo fecero prigioniero. Venne venduto, poi, ai Turchi i quali per il suo riscatto pretendevano somme ingentissime. Durante la sua assenza il governo dell’Ordine fu assicurato dal suo Luogotenente fra Bertrando Flotta. il Bosio ci ricorda che il Gran Maestro de Heredia durante uno scontro con il governatore di Patrasso con un fendente gli mozzò di netto il capo. Ciò spiega il perché dai pittori dell’epoca veniva sempre raffigurato con la testa di un moro tenuta per i capelli con la mano sinistra. Per la sua liberazione l’Ordine si dichiarò disposto a pagare qualsiasi somma, ma di tale gravosa incombenza si occupò, poi, la sua stessa famiglia. Alla morte del Pontefice Gregorio XI il Conclave di Roma elesse ai soglio pontificio, il Cardinale napoletano Bartolomeo Prignano, che prese il nome di Urbano VI (aprile 1378). 11 nuovo Pontefice si mostrò decisamente contrario a ritornare nella sede di Avignone. Alcuni cardinali, assai contrariati da tale decisione, si riunirono presso il Conte di Fondi e dichiararono nulla, ma l’elezione di Urbano VI e il 20 settembre 1378 lo sostituirono con l’antipapa Clemente VII. A tale riguardo mi si permetta una breve digressione: il mio paese nativo, Sonnino, situato nei pressi di Fondi nel XIV secolo faceva partè della stessa contea. In occasione della nomina dell’antipapa Clemente la popolazione ebbe dal Conte Onorato I il seguente proclama: «Nobili cittadini di Sormino. Con molta allegrezza vi nottifi.chiamo che il Padre della Misericordia e di Consolazione, avendo compassione del suo popo’io tribolato per l’elezione al papato di Bartolomeo Vescovo di Bari, nulla et invalida di ragione, non essendo entrato dalla porta. Vacando, dunque, la sede di Pietro, occupata tirannicamente da questo anticristo, oggi 20 settembre, nella nostra città di Fondi, come luogo sicuro, da tutti i sedici Cardinali e cioè 13 francesi e tre italiani, ~ stato eletto per Pontefice e vero vicario di Cristo il Cardinale Gebennense chiamato Clemente VII. Sia dunque lodato il Santissimo Signore Nostro che ha provvisto di tanto pastore alle sue creature. Rallegratevi et esultate eid in segno di allegrezza accendete lumi per tutto e mandate ambasciatori a rallegrarvi di questa assunzione et a renderle la dovuta obbedienza». I nostri antenati, sottoposti alla giurisdizione del Conte Onorato di Fondi dovettero, purtroppo, fare buon viso a cattiva sorte e la sera del 20 settembre il paese venne illuminato da una grande fìaccoiata anche se tanta gente non comprendeva affatto tali lottre ecclesiastiche e che pochi mesi prima erano stati chiamati per la stessa ragione a partecipare al Te Deum di ringraziamento nella chiesa di San Michele Arcangelo in onore della elezione del Papa Gregorio XI. Ritornando ai fatti di Rodi, anche il Gran Maestro Heredia, dopo la prigionia si affrettò a rendere omaggio all’antipapa Clemente, facendo una scelta di campo tanto decisa che spaccò in due l’Ordine Giovannita. Urbano VI ordinò allora ad una Commissione Cardinalizia di indagare sull’atteggiamento del Gran Maestro il quale venne dichiarato scismato. Al suo posto venne chiamato il Cavaliere di origine Napoletana Fra Raimondo Caracciolo. La fazione di Rodi non lo riconobbe, però, mai come suo capo e continuò ad essere fedele all’Heredia. Il Caracciolo potè, dunque, esercitare la sua autorità solo sulle Commende dell’Ordine situate in Italia, Allemagna, Inghilterra e Portogallo. A Rodi, intanto, l’Heredia riuscì a realizzare una tregua con il Sultano Ottomano B’aiaze’t figlio di Anmrat. Alla morte dell’antipapa Clemente venne eletto il Cardinale Aragonese Pietro de Luna, che prese il nome di Benedetto XIII. La disastrosa situazione della Chiesa di Roma con Papa e Antipapa contemporaneamente regnanti, andava piano, piano attenuandosi, così come andavano attenuandosi anche le fazioni che la sostenevano. Morto a Roma fra Riccardo Caracciolo, il Pontefice non nominò più un Gran Maestro dell’Ordine, alternativo all’Heredia, ma nominò solamente il Luogotenente nella persona di Bonifacio Caramandila un cavaliere spagnolo della stessa terra del Gran Maestro. Durante tale baillamme di nomine e contro nomine in Europa, la situazione di Rodi andava progressivamente aggravandosi perché il Baiazet, rotta la tregua, continuava a profferire continue minacce contro l’isola, per cui al de Heredia non restava che proseguire l’opera di potenziarnento delle difese, raccogliendo dai finanziatori di sempre 2.000 fiorini d’oro per pagarne le spese. Confermò fra Essone di Sleglcotz al governo delle iscle di Coo, Lero e Calino con l’obbligo, però, di pagare all’Ordine 100 fiorini d’oro all’anno, di mantenere la guarnigione di difesa nelle isole e di dragare il laghetto di Coo per favorire l’entrata dell’acqua del mare nello stagno al fine di debellare Ja malaria. Dececluto in quell’anno Ferrante Vignoli, te’nutario del castello di Lardos il Gran Maestro affidò il castello ad un suo diretto parente residente a Rodi, tale Nicolino Lippo. Si trattò, come è evidente di una semplice speculazione finanziaria in quanto il Lippo rivendette subito il castello a Folco Vignoli un medico di Rodi, parente del defunto Ferrante.Radunata 1’assemblea dell’Ordine in Avignone venne deciso il rafforzamento delle mura di Smirne a spese del Gran Maestro, prelevando i 4000 formi d’oro dalle sue rendite personali. Il voto di povertà dei cavalieri era divenuto, ormai, una pura formalità e ciascun di essi nello svolgimento degl’incarichi pensava anche di procurarsi un gruzzolo personale. I lavori da realizzare a Smirne vennero affidati al Cavali&e Domenico d’Aiemagna che svolgeva anche la funzione di Ammiraglio dell’Ordine. Fra Domenico, a differenza di molti altri, era un vetro filantropo e già aveva fondato a Rodi, sempre a sue spese, la chiesa dedicata a Santa Caterina con annesso ospizio, dotando la fondazione delle rendite derivanti da tre mulini a vento esistenti nella filiera del molo e di altre rendite ricavate da beni di sua proprietà esistenti nell’isola. Tale fondazione si rivelò importante soprattutto per i cavalieri italiani che erano molto devoti alla Santa Martire Caterina già da quando, in terra santa, frequentavano il convento del monte Sinai. Il Gran Maestro Heredia, morì l’anno 1396 lasciando di se luminosa memoria.
FRA FILIBERTO DE NAILLAC
Al Gran Maestro Heredia successe il Priore di Aquitania fra Filiberto di Naillac. Il nuovo Gran Maestro seriamente preoccupato per le conquiste che il Baiazet andava facendo nei Balcani e dando corpo alle opinioni del suo predecessore che aveva sempre affermato la necessità di combattere il Sultano prima che questi amplia’~se i suoi domini e rafforzasse la sua potenza; aderì alla richirsta fattagli dal Re Sigismondo d’Ungheria affinché partecipasse con L sue forze alla campagna che stava per iniziare contro i turchi. Ad essa avevano già aderito la nobiltà francese •capitanata da Giovanni di Nivers, quella inglese capitanata dal Duca di Lancaster, i tedeschi di Federico di Hoenzolle; ed altri contingenti d’Italia, Austria e Boemia. Iniziate le operazioni, l’armata del Re Ungherese, dopo aver attraversato il Danubio pose assedio alla città di Nicopoli. Nel vedere le sue truppe schierate il Re Sigismondo dichiarò che con quel poderoso esercito non solo avrebbe sbaragliato l’odiato Sultano Ottomano, ma sarebbe stato in grado di sostenere con le sue lance anche il cielo se fosse caduto. Il Gran Maestro Naillac si accorse, però, di essere caduto nelle mani di un megalomane solo quando l’esercito cristiano ebbe il primo scontro con il nemico rimanendone, purtroppo, sbaragliato. Riattraversate a marcia indietro le acque del Danubio riuscirono a stento a salvarsi, riparando prima a Costantinopoli e poi a BoA; dove il Re d’Ungheria si trattenne solo pochi giorni per proseguire, poi, a bordo di una galera alla volta della Dalmazia. Fortuna volle, però, che a fermare il Baiazet ci pensò in seguito il capo tartaro Tamerlano, il quale all’insegna del suo motto: «rasti rusfi» (sempre dritto), partito da Samarcanda spinse i suoi guerrieri verso occidente, confluendo, poi, attraverso le due Carovaniere asiatiche, nella zona di Ankara dove il 28 luglio 1402 sbaragliò l’esercito del protervo Sultano. Lo stesso Baiazet, fatto prigioniero, venne rinchiuso in una piccola gabbia di ferro, che Tamerlano portava sempre con se, adoperandola come sgabello per montare a cavallo. Anche i Giovanniti non riuscirono a contenere l’impeto delle schiere tartare che si avventarono contro Smirne ed i Cavalieri, dopo una fiera resistenza, furono costretti a capitolare. La metodologia di assedio dei tartari era molto pratica e sbrigativa: il primo giorno issavano sul campo un stendardo bianco, il secondo giorno uno stendairdo rosso e il terzo giorno e seguenti uno stendardo nero. Con il rosso si garantiva la vita a tutti i difensori,, con il rosso si ritenevano colpevoli solo i capi e i maggiorenti locali e con il nero tutti a fu di spada. Dopo la perdita di Smirne il Gran Maestro Naillac, per non perdere un valido punto di appoggio sulla costa orientale anatolica, cori ardita sorpresa riuscì ad impossessarsi dell’arsenale di Halicarnasso, dove tra il 1398 e il 1408 venne costruito il famoso Castel San Pietro, denominato in seguito «Petronium» e volgarizzato, poi, in «Budrum». Castel San Pietro fu un baluardo importante per l’Ordine Giova’nnita e, malgrado si trovasse in un.a regione assai tormentata dagli Ottomani, rimase nel possesso dei Cavalieri fino al momento della resa a Solimano. L’anno 1402 morì a Rodi l’ultimo erede dei Vignoli, Simone Vignoli ed il Naillac investì del castello di Lardos Dragonetto Clavelli. L’anno successivo il Sultano d’Egitto tornato finalmente a miti consigli, dopo la sconsiderata azione del Berenger su Alessandria, mandò a concludere un trattato con i Cavalieri a seguito del quale questi ebbero la facoltà di mantenere un console a Gerusalemme e la restituzione di tutti i beni che. erano stati confiscati e cioè la chiesa e l’ospizio da cui avevano avuto origine. Il Naillac, come vedremo in seguito, si adoperò molto per il rafforzamento delle mura. Morì do.po 25 anni di governo esercitato con prudenza e valore.
FRA ANTONIO FLUVIAN DE LA RIVIER
Al Naillac successe il Gran Commendatore di Cipro fra Antonio Fluvian. La sua ascesa al governo di Rodi, avvenne in un momento assai difficile e cioè quando tutt’intorno all’isola esprimeva ostilità. A Fisco (Marmaris) stazionavano due grandi vascelli turchi; in Adalia e Scadeloro, avevano armato sei galere per Ie scorrerie nel mare dell’isola e in Egitto i giannizzeri stavano armando una gran quantità di fuste per assaltare le coste di Rodi. Di fronte a tale preoccupante realtà il Gran Maestro si diede subito da fare non solo per rafforzare le opere difensive ma anche per gli approvvigionamenti e come sempre ricorse a nuove tasse e balzelli a carico delle Commende europee. A tale scopo venne inviato in occidente con l’incarico di esattore il cavaliere fra Giovanni Starigues, che riuscì in breve a raccogliere la bella cifra di 100.000 fiorini d’oro che a Rodi, costretti a vivere sempre coi il dito sul grilletto, aspettavano come la manna dal cielo. Lo Starigues, però, anziché fare la via dell’isola, si fece irretire da Alfonso d’Aragona e fece la via di Napoli. A lui consegnò i 100.000 fiorini d’oro perché provvedesse ad armare una flotta da inviare a Rodi. Il Re di Napoli intascò felicemente il denaro ma per la flotta solo chiacchiere dilatorie. Lo Starigues pagò la sua ingenuità con l’espulsione dall’Ordine ma il Gran Maestro di Rodi dovette sbrigarsela da solo per far fronte alle urgenti necessità di difesa. L’anno 1428 il Fluvian, con la morte nel cuore, riunì un nuovo Capitolo per studiare altre possibilità di ottenere aiuti ma con deludente risultato. A Fantino Guerrini, Priore di Roma concesse l’isola di Nisiro con tutte le fortezze per un censo di 600 fiorini d’oro, una vera inezia per le necessità del momento che peraltro si erano aggravata per alcuni casi di peste che crearono per evitare il contagio un vero fuggi fuggi nel borgo, nei casali e nei castelli. Anche se la tesoreria. dell’Ordine in quel tempo era assolutamente in bolletta, il Gran Maestro al momento della morte avvenuta il 29 ottobre 1437, lasciò in favore dell’infermeria di Rodi 10.000 fiorini d’oro, come attesta la sua lapide sepolcrale rinvenuta durante lavori di sterro fatti all’interno delle mura.
FRA GIOVANNI DI LASTIC
Al Fluvian successe il Cavaliere fra Giovanni di Lastic il quale, trovandosi al momento deila nomina in Europa, potè raggiungere Rodi solo l’anno successivo (1438). Il Lastic essendo un accorto diplomatico tentò subito di realizzare una tregua con il Sultano Amurat ma non riuscì nel suo intento in quanto il Sultano turco aveva fatto un accordo segreto con il Sultano d’Egitto, per farla finalmente finita con i cavalieri Giovanniti. Vista la mala parata il Gran Maestro fece armare subito una piccola squadra navale composta da & galere, 4 navi e alcuni grippi per il pattugliamento continuo delle acque dell’isola. Il Sultano d’Egitto dopo aver fatto assaltare Castelrosso, fece dirigere una flotta di 18 galere verso Rodi dove giunse il 25 settembre 1440, dando fondo nei pressi della punta delle arenelle (Punta della Sabbia). Non appena le galere tentarono di deviare verso il porto iniziò una schermaglia di artiglierie che fu molto dissuasiva per gli attaccanti. Durante la notte le navi del Sultano ripresero il largo verso la costa anatolica ma, raggiunte dalle 8 galere dell’Ordine, vennero impegnate in un duro combattimento. La notte successiva le navi dell’Ordine si defilarono in direzione di Rodi mentre la flotta egiziana proseguì verso Cipro mettendo a soqquadro i beni di quella grande Commenda. A tal punto il Gran Maestro paventando a breve anche una incursione della flotta del Sultano Ottomano, emanò un bando per il rientro di tutte’ le persone espuise dall’isola a causa dei reati commessi con la sola esclusione dei rei per alto tradimento, lesa maestà e incendio. Il Sultano d’Egitto che aveva minacciato una rivincita non si smentì ed al principio di agosto del 1444 la sua flotta si stagliò ancora all’orizzonte di Rodi. Il Gran Maestro fece rifugiare tutti i rustici (contadini) all’interno dei castelli ed in particolare nei castelli di Feraclo e di Lindo. Dalle navi del Sultano sbarcarono circa 18000 saraceni i quali, prima di dirigersi verso la città, misero a ferro e fuoco le campagne dell’isola. L’assedio durò 40 giorni e per fortuna con la sconfitta degli attaccanti, i quali, a causa delle gravi perdite subite si reimbarcarono e fecero nuovamente vela verso Alessandria. Malgrado la spinosa e difficile situazione che vedeva i Giovanniti costantemente sugli spalti, i membri dell’Ordine trovavano anche il tempo per diatribe interne e ris’sose dispute nei riguardi delle attribuzioni delle alte dignità del governo che fino a que4 momento erano state sempre ricoperte da Cavalieri di origine francese. La spinosa questione di ordine soprattutto morale venne finalmente risolta e da quel momento le varie cariche dell’Ordine e del governo vennero ripartite fra i cavalieri delle varie lingue. Il Sultano Amurat morì l’anno 1450 ed al trono ottomano salì il figlio Maometto II. Anche al nuovo Sultano il Gran Maestro Lastic rinnovò profferte di pace, e Maometto IL che forse aveva già in mente l’impresa di Costantinopoli accettò di buon grato l’offerta del Gran Maestro Giovannita. Il 29 maggio dei 1453 Maometto 11 attaccò con estrema violenza il cuore dell’Impero Bizantino, mettendo a ferro e fuoco l’antica capitale imperiale. Lo stesso Imperatore Costantino venne trucidato durante il furioso attacco ed il suo corpo potè essere riconosciuto fra le montagne di cadaveri solo dai calzari di porpora ricamati con le aquile d’oro che indossava. Il disastroso avvenimento della caduta di ~ostantino~poii nelle mani degli Ottomani gettò nel profondo sconforto l’intero convento di Rodi che si riteneva, ormai, la seconda vittima sacrificale del battagliero Sultano. Con la conquista del centro politico dell’Impero Bizantino Maometto LI si riteneva, ormai, titolare di tutte le province dell’impero per cui si affrettò ad inviare messaggi ai vari governanti locali pretendendo il pagamento dei consueti tributi. All’isola di Rodi venne imposto il pagamento di 2000 Ducati annui. Il Gran Maestro si oppose alla proterva richiesta del Sultano assumendo che l’isola era sotto la sovranità del Papa ed il Papa vietava di pagare tributi o sottomettersi a qualsiasi altra autorità che non fosse la sua. «Insula mea non est Pa’pae ego, ut tu domino tuo subditus sum. Vetat Papa, non soium tuo principi agenere et fida nostra alieno et dissentienti, verum etiam ulli regum gentis ac religionis suae solvere tributum». Maometto II masticò sicuramente amaro leggendo la decisa e dignitosa risposta del Gran Maestro Giovannita e come si può intuire, in quel momento alla gente di Rodi venne sicuramente la pelle d’oca pensando al pericolo di fare, nell’immediato futuro, la stessa fine dei bizantini di Costantinopoli. Il Gran Maestro si diede subito da fare per rinforzare le difese e provvedere ad approvvigionamenti straordinari di armi, munizioni e vettovaglie. Il Lastic morì nel maggio del 1454 lasciando generale rimpianto.
FRA GIACOMO DI MILLY
Deceduto il Lastic il governo dell’Ordine passò nelle mani dei cavaliere Giacomo di Milly. Egli giunse a Rodi quando Maometto 11 stava già organizzando la vendetta per il diniego del tributo. Nello stesso periodo anche l’altro braccio della grande tenaglia musulmana protesa a stritolare l’isola di Rodi e cioè il Sultano d’Egitto, fece iniziare una serie di disastrose incursioni nell’isola, per cui il Gran Maestro fu costretto ad ordinare a tutti gli abitanti della costa orientale, la più frequentata dalle bande saracene, perché protetta dai venti di maestrale permetteva più facili gli approdi, di rifugiarsi all’interno della città e dei castelli. L’anno 1456 alle incursioni si aggiunse anche una terribile peste, unita a carestia poiché che le terre erano rimaste incolte a causa delle incursioni e le navi dedite ai commerci si defilavano dal porto di Rodi per evitare il contagio. Alle necessità materiali che angustiavano seriamente il Gran Maestro, si aggiunsero, poi, anche quelle di ordine morale che per uno Stato etico-religioso assumevano rilevante importanza. La città di Rodi in quel tempo era piena di meretrici che con il loro sconrveniente e plateale atteggiamento davano alla città una triste immagine di corruzione e di lassismo. Non potendo impedire con i mezzi legali l’esercizio del più antico mestiere del mondo il Gran Maestro decise di far riunire tutte le «puttane» in un solo quartiere della città. La grande retata venne eseguita con estrema energia dalle guardie dell’Ordine il giorno 3 marzo 1457 e possiamo dire che da qual giorno la Rodi cavalleresca fu la prima città del mondo ad avere un intero quartiere dedicato all’eros, eguagliata solo nei tempi moderni da Amburgo e da Amsterdam. Il Gran Maestro di Milly sempre cagionevole di salute morì a Rodi l’anno 1461.
FRA RAIMONDO ZACOSTA
A fra Giacomo di Milly successe lo spagnolo fra Raimondo Zacosta. Durante il suo governo uno spiacevole incidente andò a turbare i rapporti dei Cavalieri con Venezia. Due galere veneziane che veleggiavano nell’Egeo, provenienti dalla Siria, con a bordo mercanti e mercanzie saracene vennero intercettate e attaccate dalle navi dell’Ordine che sequestrarono i due legni e resero schiavi tutti i mori trovati a bordo. Venezia deprecò l’accaduto ed inviò contro Rodi una flotta di 42 navi per riavere le due galere, i passeggeri e le mercanzie confiscate. Come si sa dalla storia il commercio per la Serenissima rappresentava la principale fonte della sua economia e della sua influenza politica verso l’esterno, per cui lo riteneva una cosa assolutamente intoccabile, un vero tabù al di sopra di ogni altra ragione anche religiosa. Non appena giunta nelle acque dell’isola la flotta veneziana mise a ferro e fuoco le coste e gran parte dell’entroterra di Rodi. Il Gran Maestro Zacosta per scongiurare ulteriori danni aderì a tutte le condizioni imposte dai Veneziani. Anche Rodi, però, in fatto di commercio non era seconda a nessuno e già nel periodo arcaico, esso rappresenlò la principale fonte di guadagno dei rodioti. Proprio al tempo dello Zacosta venne decisa una nuova gabella denominata diritto della catena’ imposta a tutte le navi che attraccavano nel porto. Ciò suscitò un esteso malcontento fra la gente del mare ed il Gran Maestro dovette intervenire al riguardo, non attenuando o eliminando il nuovo balzello ma imponendolo anche a carico della macina del “grano”. La politica, insomma del male comune mezzo gaudio. Come vedremo nei capitoli seguenti anche il Gran Maestro Zacosta attese a migliorare le difese delfisola ed egli va storicamente ricordato soprattutto per aver diviso la cerchia delle mura in otto settori definiti poste attribuendone il presidio e la difesa ai Cavalieri delle varie lingue. Un modo sicuramente intelligente ed efficace per far affluire il più rapidamente possibile i difensori sugli spalti ed anche per combattere i pavid.i e gli ignavi che non mancavano e che durante gli attacchi si dissimulavano fra i anl’ratti della muraglia senza possibilità di controllarli. Alcuni potentati europei, constatanto la riluttanza di Maometto ad intervenire contro Rodi, pensavano che il Gran Maestro avesse fatto sottobanco atto di sottomissione al Sultano, cosa assurda e non veritiera che addolorò notevolmente lo Zacosta. Per scrollarsì di dosso tale diceria il Gran Maestro fece rappresentare sulle strade di Rodi una curiosa dichiarazione di guerra, simile ad una sceneggiata napoletana. Inviò sulle strade della città un araldo e un trombettiere con i suoi suoni richiamava l’attenzione della gente. Non appena i predetti incontrarono l’ambasciatore del Sultano gli si pararono davanti e l’araldo ad alta voce declamò la dichiarazione dì guerra in stile da operrtta. Il rimedio, però, si rivelò peggiore del male perché se lo strombettamento riuscì a far cambiare opinione ai prnicipi europei calunniatori, diede modo al Sultano Ottomano di organizzare i primi attacchi all’isola per creare sconcerto e per fiaccare il morale dei difensori. Il Gran Maestro Zacosta morì a Roma il 21 febbraio 1467 dove si era recato per partecipare ad un Capitolo dell’Ordine e nel quale doveva rispondere ad assurde accuse rivelatesi, poi, assolutamente infondate, lanciate contro la sua persona dal Re Giovanni d’Aragona, che aveva chiare mire sull’Ordine Giovannita.
FRA GIOVANNI BATTISTA ORSINI
L’Orsini che in quel momento ricopriva la carica di Priore di Roma venne eletto Gran Maestro anche con la calda raccomandazione del Pontefice. A causa della difficile situazione raggiunse subito la sede di Rodi. Non potendo contare sull’aiuto di Venezia e degli altri potentati europei, nel ricordo dell’amara esperienza del Re di Napoli, si mise subito all’opera per modificare l’organizzazione interna dello Stato, rendendola più flessibile e più pronta in caso di attacco dall’esterno. Nella primavera del 1469 una flotta Ottomana di 30 galere sbarcò truppe lungo la cimosa dell’isola devastando gran parte dei territorio. L’Orsini non si fece sorprenidere e mandò contro gli attaocanti cospicui reparti [di cavalleria che fecero strage dei soldati ottomani, mentre i pochi superstiti in tutta fretta ripresero la via del mare. Si trattò, comunque, di un piccolo assaggio turco per mettere alla prova le difese di Rodi. Il Gran Maestro data la fluidità della situazione, fece nuovi approcci per rientrare nelle grazie di Venezia ma senza esito per via del grande volume di affari che la Serenissima intratteneva con il mondo musulmano e non poteva certo guastare tali rapporti per compiacere ai Cavalieri Giovanniti, votati a combattere per motivi confessionali e cioè per una jhad crociata identica ed alternativa a quella musulmana. Anche il Pontefice Sisto IV interpose i suoi buoni uffici per aiutare i Giovanniti e riuscì ad ottenere da Venezia e dal Re di Napoli solo un contributo in navi che unito alle 30 galere messe a disposizione anche dal Pontefice costituì una potente squadra che partì per l’Egeo sotto il comando del Capitano Generale Mocenigo. Dopo aver condotto un azione contro Smirne, nell’inverno del 1472 la potente squadra si sciolse come neve al scie e gli aiuti per Rodi divennero solo «promesse di marinaio». Il Gran Maestro Orsini, stanco e sfiduciato morì l’8 giugno del 1476.
FRA PIETRO D'AUBUSSON
Dati i tempi difficili che correvano l’Orsini venne subito sostituito dal Priore di Alvernia fra Pietro d’Aubusson, il quale è storicamente ricordato come il più importante Gran Maestro Giovannita. Per i suoi indiscutibili meriti, prima della fine del suo magistero, venne elevato alla porpora cardinalizia (Cardinale Diacono) con il titolo di 5. Adriano e Legato Pontificio d’Asia. In data 28 marzo 1489 con la bolla concistoriale vennero concessi al d’Aubusson anche altri benefici e cioè i beni appartenenti agli Ordini Cavallereschi del «Santo Sepolcro» e «San Maurizio e Lazzaro» che erano stati sciolti (Bosio). Fra i tanti meriti attribuiti al d’Aubusson c’è però anche qualche ombra e cioè la cacciata degli ebrei dall’isola di Rodi e da tutti i domini dell’Ordine voluta dal Gran Maestro con la risibile motivazione che la gran parte dei vizi e dei malefici che regnavano nei convento di Rodi erano causati soprattutto dalla comunità israelita. Con il decreto del gennaio 1503 il Gran Maestro diede agli ebrei 40 giorni di tempo per disfarsi di ogni avere non trasportabile e partire alla volta di Nizza. Si trattò, come è evidente, di una seconda caccia alle streghe, che t’ante pene arrecò alla gente ebraica. La comunità israelita di Rodi ritornò nell’isola solo dopo l’avvento del governo Ottomano.Nel luglio 1477 Maometto II fece uscire da Gallipoli una poderosa squadra navale composta da 200 vele che mise a ferro e fuoco le isole di Leros, Cos e Patmos. Tale azione, portata avanti con brutale energia, fece capire al Gran Maestro che si avvicinava, ormai, il definitivo attacco contro Rodi. Il d’Aubusson continuò il rafforzamento delle mura e invocò aiuti in denaro dal Pontefice Sisto IV, il quale bandi un Giubileo per raccogliere denaro da inviare a Rodi. Per attenuare l’altra minaccia musulmana il Gran Maestro svolse una politica di buone relazioni con il Sultano d’Egitto, accettando perfino un rappresentante di detto Sultano nella città di Rodi, con la carica di Console. L’anno successivo e cioè il 1478 Maometto II, prima di sferrare l’attacco contro l’isola, inviò ambascerie offrendo al Gran Maestro la pace alla condizione di rendersi tributario del Sultano. Nel contempo; in attesa della risposta, ordinava sanguinose scorrerie che ebbero come obiettivo il castello di Fanes ed il territorio circostante che furono devastati. Anche questa volta la cavalleria dell’Ordine si mosse contro gli attaccanti, ma era assolutamente impossibile far fronte alle incursioni che avvenivano contemporaneamente in più pùnti della costa. Sollecitato dall’infausta esperienza di Fanes, il Gran Maestro fece rinforzare con estrema urgenza le difese del castello di Villanova e quelle del castello del monte Fiieremos, facendo presidiare quest’ultimo da soli armati franchi che gli davano più fiducia essendo il sito molto vicino alla città. Paventando l’imminenza dell’attacco in forze del Sultano Ottomano, il d’Aubusson fece trasportare all’interno delle mura il quadro della Vergine del Fileremos e quando giunse la notizia che le forze Ottomane si stavano ormai raccogliendo a Fisco, per fare l’ultimo balzo verso Rodi, il Gran Maestro diede ordine ai rustici di tagliare tutte le granaglie comprese quelle non mature per fare terra bruciata intorno al nemico e raccogliere tutto il bestiame dell’isola nei pressi delle mura della città e dei castelli per poterlo rapidamente tirare dentro in caso di attacco.
ASSEDIO DEL 1480
Il 23 maggio 1480 una flotta Ottomana di circa 160 vele mosse dalle acque di Fisco verso Rodi con a bordo le avanguardie dell’esercito turco, sotto il comando di Misah Paleologo, un rinnegato crede della storica famiglia imperiale bizantina, ormai passato al servizio del Sultano. Lo sbarco avvenne nella riviera settentrionale dell’isola tra il monte 5. Stefano e Trianda. Dopo lo sbarco le forze turche si inoitrarono rapidamente verso l’interno occupando subito il castello del Fileremos e le alture circostanti. Per quasi una settimana le galere del Sultano continuarono a sbarcare armati fino a raggiungere una forza di circa 100.000 uomini, mentre tutti gli uomini di Rodi dall’alto delle mura guardavano sgomenti la frenetica spola delle navi turche. Il Poleologo fece subito circondare la città dalle sue truppe e come iniziale strategia di attacco rivolse la sua attenzione contro il forte di San Nicola, che dalla sua particolare posizione dominava e controllava l’intera cinta muraria di nord-est. La conquista di tale posizione era ritenuta importante e prioritaria rispetto ad ogni altro obiettivo ed a tale riguardo fece piazzare una batteria di grosse bombarde negli orti di Sant’Antonio, dove venivano sepolti i Cavalieri, precisamente nella zona individuabile tra il palazzo del governo ed il tekke di Murad Reis. Il bombardamento contro il forte aprì enormi brecce in varie parti della torre e del basamento causando crolli e rovine. Cessato il bombardamento fece attaccare il forte anche dalla parte dei mare e numerosi vascelli carichi di truppe si accostarono alla muraglia per assaltarla. I difensori, appoggiati anche dalle batterie che sparavano dalle mura, respinsero gli assalti, facendo degli attaccanti una vera strage. L’azione contro il forte di San Nicola continuò anche nei giorni successivi ma con una diversa strategia di attacco. Gruppi di assaltatori s’incunearono tra gli spuntoni di roccia allora emergenti nel tratto dalla torre del trabucco al fbrte, ma senza alcun esito. La lotta, con tiri e contro tiri, attacchi e contrattacchi continuò anche nei giorni successivi lungo tutto il perimetro delle mura fino a quando le grosse bombarde già piazzate negli orti di Sant’Antonio non vennero trasportate e assestate in ordine di fuoco davanti alla posta d’Italia, le cui mura sembravano meno idonee a resistere alle artiglierie del Sultano. In quei giorni in città venne arrestato un certo Giorgio Frapan (detto Mastrogiorgio) un tedesco esperto di fortificazioni che nei mesi precedenti era stato accolto dai cavalieri come amico ma in realtà giunto a Rodi per fare il doppio gioco con il nemico. Il Frapan processato come spia venne immediatamente giustiziato. Dopo un’accurata preparazione il 27 luglio i turchi scatenarono un attacco generale, ma il vero finimondo avvenne soprattutto contro la posta d’Italia e cioè quell’a parte della muraglia considerata più sguarnita. Contro tale posta lunga appena 224 metri, dopo un infernale bombardamento si avventarono con furore 2500 Jannizzeri, seguiti per molte ore da ondate successive di fanti che non davano il minimo respiro ai difensori. Gli attaccanti turchi arrivarono fino alla sommità della muraglia piantando numerose insegne ma la tenace resistenza dei cavalieri italiani, condotta sotto l’incitamento personale dello stesso Gran Maestro riuscì a sbarrare la strada agli assalitori. I Turchi, ormai stremati, ripiegarono senza speranza nei loro attendarnenti lasciando sugli spalti, sui terrapieni e nei fossati un ingente numero di morti e di freriti. Maometto II era stato sconfitto ed il Paleologo con i resti di un’armata umiliata il 18 agosto 1480, stanco e sfiduciato, riprese il mare pe’r Fisco. La cronaca ci dice che durante la cruenta battaglia ci furono delle prodigiose apparizioni. Per certo si sa che nel momento più critico il Gran Maestro fece issare sulle mura lo stendardo dell’Ordine. Un drappo rettangolare con l’effigie dei Crocifisso, della Santa Vergine e di San Giovanni Battista ai lati in posizione orante. Quel 27 luglio, che la Chiesa dedica a S. Pantaleone martire, la gioia dei Giovanniti e soprattutto dei Cavalieri italiani che si erano coperti di gloria fu davvero grande. Il Sultano espresse il suo rammarico per la grave sconfitta subita con la seguente significativa frase che venne poi scritta anche sulla sua tomba: «volevo conquistare Rodi e sottomettere la superba Italia». La sconfitta di Maometto 11 fu salutata con gioia da tutti gli Stati europei e lo stesso Pontefice Innocenzo VIII su suggerimento del d’Aubusson con la bolla Redemptoris Noster del 31 maggio 1485 autorizzò l’erezione della Chiesa dedicata a Santa Maria della Vittoria ed un oratorio dedicato a Pantaleone a ricordo della grande vittoria di Rodi. Anche una bolla di Giulio Il del 25 giugno 1507 ricorda l’assedio di Rodi.
Il Gran Maestro d’Aubusson dando atto ai cavalieri italiani del valore dimostrato in quei fatidico 27 luglio, fece affiggere sulla muraglia della posta d’Italia una targa in marmo riportante il versetto del IX salmo: «in convertendo inimicum meum retrursum infirmabundur et peribunt a facie sua». Dopo la morte di Maometto 11 gravi discordie nacquero fra i suoi eredi per i diritti di successione ed in particolare fra i principi Baiazet e Gem, quest’ultimo conosciuto in occidente con il soprannome di Zizim. Dopo alterne vicende il Principe Gem non fu più in grado di opporsi al suo prepotente fratello e decise di lasciare la Turchia. Chiese, in primo tempo, asilo al Sultano d’Egitto il quale per non contrariare il Baiazet non lo concesse. In seguito chiese asilo ai Gran Maestro Giovannita, cioè al suo giurato nemico. Riunito il Consiglio dell’Ordine venne deciso di accogliere l’ospite ed a tale scopo vennero inviate due galere, la grande Caracca dell’Ordine ed altro naviglio minore per rilevare l’importante ospite sulla Costa anatolica. Gem giunse a Rodi dove venne accolto con tutti gli onori dovuti al suo rango. Venne alloggiato nell’albergo di Francia riccamente addobbato per l’occasione. Si trattenne a Rodi solo 38 giorni ed il 12 settembre partì alla volta della Francia a bordo di una nave dell’Ordine scortata da diverse galere, lasciando al Gran Maestro un’ampia procura per trattare la pace con il Baiazet anche a suo nome. Tali trattative furono condotte e portate a termine con soddisfazione fra ambo le parti. Il Baiazet s’impegnò a versare il 1° agosto di ogni anno all’Ordine la somma di 35.000 Ducati per le spese di guardia e di mantenimento del fratello Gem. Sicuramente felice che il fratello risiedesse, ormai, lontano dalle terre dell’Impero Ottomano, il Baiazet inviò messi in Francia per augurargli una vita tranquilla nella «onorevoie guardia dei cavalieri dell’Ospedale». Con l’avvento di tali favorevoli rapporti si stabilì nell’area egea una effettiva tregua e Rodi potè vivere, finalmente, un periodo di relativa calma. Molti commercianti turchi incominciarono subito a frequentare l’isola e la vita in città in breve rifiorì ricca ed opulenta come sempre. Il quartiere più affollato tu naturalmente quello dell’eros ed il Gran Maestro di fronte alla plateale commistione delle donnine cristiane con i turchi ed al generale rilassamento dei costumi che ne derivava, emanò un bando di estrema severità che prevedeva perfino la pena del rogo per tutti i cristiani, maschi e femmine, che carnalmente si congiungessero con turchi. mori e giudei. Alla stessa pena sarebbero incorsi anche i «ruffiani» di tanta scelleratezza e abominio». Le relazioni con il Baizet continuarono ad essere buone e l’anno 1487 il Sultano con gesto davvero singolare, inviò al Gran Maestro in omaggio una Santa Reliquia cristiana caduta nelle mani di Maometto 11 dopo la resa di Costantinopoli: il braccio destro di San Giovanni Battista cioè la mano che aveva battezzato Cristo. Ma come tutte le cose belle hanno sempre una fine anche il rapporto tra il Sultano Baiazet ed i Giovanniti incominciò ad. incrinarsi perché il Sultano iniziò a richiedere con insistenza la restituzione del fratello Gem. Anche il Papa per opposte ragioni fece, però, la stessa cosa ed il d’Aubusson per la famosa «Santa Obbedienza» che come quella dei militari doveva essere «pronta, rispettosa ed assoiuta», fu costretto a consegnare il Principe Ottomano al Papa. L’importante ospite venne subito trasportato a Roma. La cosa irritò molto il Baiazet ed il Gran Maestro riuscì con gran fatica a calmano inviando a Costantinopoli continue ambascene e doni. L’anno 1493 un violento terremoto scosse l’isola di Coo con grandi distruzioni in Arangea, Pilli e Cefalo. L’anno successivo 1494 al Pontefice Innocenzo VIII successe Alessandro Borgia, un Pontefice molto censurato dalla storia. Il nuovo Papa fece condurre Gern in Castel Sant’Angelo, congedando i cavalieri Giovanniti di scorta che ritornarono subito al convento di Rodi. Grande fu il dolore del Gran Maestro d’Aubusson per le gravi conseguenze che potevano derivare all’isola di Rodi per il tracotante atto papale. Con successivo, insensato provvedimento il Borgia fece consegnare Gem a Carlo VIII Re di Francia, sceso in Italia per l’impresa di Napoli. Consegnato il Principe Turco nelle mani degli armati del Re francese, Gem morì durante il viaggio alla volta di Napoli. Una morte sospetta di veleno. Il tristissimo avvenimento gettò nello sconforto l’intero convento di Rodi, già angustiato per il fatto che il Borgia aveva anche infierito sugl’ interessi europei dell’Ordine. Aveva tolto, infatti, il Priorato di Catalogna al titolare Francesco de Bossolx per dario al nipote Ludovico Borgia. Il d’Aubusson espresse la sua amarezza al Re Ferdinando il Cattolico, il quale comprese le lagnanze del Capo dei Giovanniti e non permise mai nell’ambito dei suo regno gl’intrighi ed i soprusi del Borgia. Il 21 dicembre 1499 furono scoperti a Rodi alcuni casi di peste ed il Gran Maestro per evitare l’estendersi del contagio fece costruire d’urgenza un lazzaretto «extra moenia» (fuori le mura) per il ricovero delle persone infette. Anche se il Borgia si era reso colpevole di tante sconcezze nei riguardi dei cavalieri Giovanniti, il Papa era sempre il Papa ed il d’Aubusson dovette prenderne atto, quando il Pontefice lo nominò Capitano Generale della Lega navale pontificia e fu costretto a partire con le sue navi da Rodi per unirsi nelle acque dell’Egeo alla flotta cristiana. Ma all’infuori dell’assedio di Mitilene, poi tolto dai veneziani, attese invano le navi papali che non raggiunsero mai il mare Egeo. Deluso e sfiduciato fu costretto a ritornare a Rodi. L’anno 1502 i turchi a bordo di un cospicuo numero di fuste ottomane sbarcò nell’isola di Leros per impadronirsi del castello. Sopraggiunte le navi dell’Ordine la fuste ottomane tentarono la fuga ma vennero impegnate in battaglia ed in gran parte rimasero distrutte o danneggiate. Solo poche unità riuscirono a defilarsi verso la costa turca. I rei di saccheggio vennero impiccati e gli altri fatti prigionieri e messi ai lavori forzati per scavare i fossati della città. Il d’Aubusson si spense il 3 luglio 1503 lasciando generale rimpianto. Fu un uomo grande sia in pace che in guerra.