Lo Stormo dei "quattro gatti", l’ultimo stormo bombardieri della Regia Aeronautica
di Luciano Alberghini Maltoni, articolo pubblicato su Storia Militare del Marzo 2002, Copyright della Albertelli Edizioni Speciali.
L’origine dello stemma dei “quattro gatti”
Nel Museo Aeronautico di Vigna di Valle, il glorioso SM-79 con l’identificativo di squadriglia 278 (attualmente in fase di restauro) è collocato a meno di 20 metri dall’F-104 su cui spicca un curioso stemma con 4 gatti bianchi e neri (vedere figura) ed il nome C.E. Buscaglia sulla trave di coda. Al visitatore occasionale l’accostamento, dettato da esigenze di spazio, potrebbe sembrare azzardato. In realtà tra i due velivoli esiste una straordinaria ed emozionante continuità. Il filo rosso che li lega è proprio in quello stemma e nella storia degli Stormi che se ne sono fregiati, una storia che percorre le vicende della nostra Aeronautica Militare dal 1940 ad oggi. E’ una storia che merita di essere raccontata e che riguarda proprio l’ultimo Stormo da bombardamento della Regia Aeronautica, lo Stormo Baltimore. Ma come nacque lo stemma dei quattro gatti? Per scoprirlo dobbiamo risalire alla prima squadriglia aerosiluranti, la leggendaria 278.a formatasi all’indomani del giugno 1940 sull’esperienza del 1.° Nucleo Addestramento Aerosiluranti, a quella data nonostante l’indiscussa validità dell’aerosiluramento, la Regia disponeva di pochi velivoli e piloti addestrati per questo compito. Le azioni svolte erano state sempre condotte da “pochi” velivoli SM 79 con i loro equipaggi, appunto dai soliti “quattro gatti”. Non fu quindi difficile per l’allora cap. Massimiliano Erasi, comandante della 278.a, identificare la sua squadriglia come un insieme di 4 gatti a cavalcioni di un siluro che attaccavano il nemico soli soletti. I due gatti neri che come si sa portano “iella”, avevano appunto il compito di portarla al nemico mentre gli altri due “bianchi”, avrebbero dovuto portare fortuna alla squadriglia. Nacque così nel dicembre 1940, complice la fervida penna del S.Ten Maffei, lo stemma dei quattro gatti ed il motto “PAUCI SED SEMPER IMMITES”. La squadriglia dei quattro gatti operò con alterne vicende nel Mediterraneo Centrale ed Orientale. Sulle vicende dei nostri aerosiluratori, di cui ricordiamo nomi come Buscaglia, Graziani, Faggioni, Erasi, Cimicchi, Aichner (per citare i più noti) molto è stato scritto e pertanto non ci soffermeremo su di esse.
La Regia Aeronautica si trovava alla data dell’armistizio (8 settembre 1943) fortemente logorata nel morale e nei mezzi. L’ordine di fuga e rischieramento su campi sicuri poté essere solo parzialmente eseguito da equipaggi e velivoli che raggiunsero la Sardegna, la Puglia, la Sicilia mentre in Egeo solo il raggruppamento idro di Lero arrivò ad Alessandria ed iniziò a cooperare con la RAF. In tutto appena 133 aerei, di cui una quarantina da caccia ed una trentina da bombardamento poterono essere recuperati. La situazione era critica non solo per l’esiguità dei mezzi ma soprattutto per l’impossibilità di avere pezzi di ricambio poiché le industrie produttrici erano al Nord, sotto il controllo dei tedeschi. Le attrezzature meccaniche delle officine S.R.A.M. se non già prima asportate dai tedeschi in fuga furono requisite dagli Alleati che occuparono gli aeroporti principali dei territori liberi.
Cobelligeranza e ricostituzione della Regia Aeronautica
Sembrava ormai la fine per un’armata aerea degna di tal nome ma si trovò il coraggio e la dignità di continuare ad esistere e combattere. Il 15 ottobre 1943 fu costituito il Comando Unità Aerea, di fatto la struttura all’osso di una forza aerea. Furono organizzati tre raggruppamenti, caccia, bombardamento e trasporti, idro. I problemi erano enormi, oltre a quelli citati a cui si cercò di provvedere cannibalizzando gli aerei inefficienti, le condizioni operative erano difficili ed il personale, ancora demoralizzato dalle condizioni della nazione aveva comunque la motivazione di continuare a combattere contro l’invasore tedesco. Il personale era costituito da volontari sia uomini che passarono il fronte sia da “personale recuperato”. Con questo termine indichiamo tutti i militari che dopo l’ 8 settembre sfuggirono alla prigionia tedesca. Una testimonianza storica ad oggi inedita e di grande valore morale è contenuta in alcuni documenti scritti a mano su comuni fogli di carta (vedere foto). Nel primo documento, a firma del cap. pilota Giacomelli, già comandante del 154.° Gruppo C.T. Autonomo di Rodi scrivendo dal Campo d’internamento di El Burey in Palestina e rivolgendosi direttamente al Capo di Stato Maggiore egli dichiarava che il personale appartenente al suo Gruppo ed ivi internato, aveva deciso all’unanimità di continuare la guerra contro i tedeschi e chiedeva di essere rimpatriato per ricostituire il Gruppo. Seguiva elenco del personale. Analoga lettera fu inviata nell’aprile del 1944 dal t.col.Giannone (del Comando Aeronautica dell’Egeo) che, nell’elencare tutto il personale aeronautico ad El Burey dichiarava “siamo anelanti di ritornare in Patria e di poter unire le nostre forze per la liberazione dell’Italia nostra”. Queste richieste furono accolte, infatti, gran parte degli internati di El Burey, giunsero in Italia tra maggio e luglio del 1944 e furono destinati allo Stormo Baltimore. Si cercò quindi di rifondare uno Stormo riaccorpando personale omogeneo per esperienza e rapporti personali, il principio di per sè giusto creò tuttavia alcune inutili contrapposizioni in un malinteso spirito di corpo.
Come accennato, la linea di volo composta da una congerie di velivoli, tra cui anche sette Junker 87 Stuka, era paurosamente carente di velivoli da bombardamento, solo 3 Cant Z 1007 e quindici SM 79 efficienti. Non si poteva seriamente pensare ad un onorevole contributo italiano alla guerra di liberazione senza velivoli moderni di cui fosse garantita la manutenzione. Gli Alleati non ritennero opportuno fornire alla neocostituita Unità Aerea bombardieri, bimotori o quadrimotori da loro correntemente impiegati. Si può ipotizzare che sussistessero motivi politici ed operativi per cui era razionale e conveniente utilizzare gli aerei più pesanti sugli obiettivi strategici più paganti ossia la Germania.
Perciò analogamente a quanto avvenuto per le forze aeree greche, neozelandesi e sudafricane furono forniti 32 velivoli Martin Baltimore corrispondenti a 2 Squadrons della RAF (12 + 12 aerei in linea più 4+4 di riserva).
Il velivolo Baltimore
La transizione dai velivoli italiani come l’SM 79 al Baltimore fu completata dagli equipaggi italiani in un tempo rapido, circa 3 mesi, ma comportò un tributo non indifferente di caduti per incidenti di volo. I motivi non furono dovuti all’imperizia dei nostri aviatori che anzi furono elogiati ufficialmente in molte occasioni dalla RAF ma sono da ricercarsi nelle peculiari caratteristiche del velivolo e nella diversa tecnica di volo in formazione imposta agli italiani dalla RAF.
Il Baltimore fu uno dei primi bombardieri bimotori sviluppati negli USA dalla Glenn Martin, ad essi l’Air Force preferì utilizzare durante il conflitto i più avanzati B25 Mitchell ed il Marauder, il Baltimore fu pertanto fornito ed utilizzato dalle forze aeree neozelandesi, sudafricana, greca oltre alla Regia.
Il Baltimore nella versione IV e V consegnata alla Regia, era un velivolo bimotore metallico con ala a sbalzo pesante 11 tonnellate, dotato di due motori Wright Cyclone molto potenti da 1600 hp ciascuno, capace di volare a 440 km/h alla quota di 4.000 metri.
Il carico alare elevatissimo (240kg/metroquadro) che imponeva atterraggi e decolli a velocità superiori a 170 km/h, la scarsa manovrabilità in volo, così come la ridotta autonomia dovuta al forte consumo di carburante dei potenti motori, portavano a classificare il Baltimore (tra quelli omologhi delle forze aeree belligeranti) come un velivolo molto mediocre e comunque non in grado di tenere testa alla caccia avversaria.
In proposito va ricordato che l’assenza della Luftwaffe nei cieli balcanici dove lo Stormo operò, fu un elemento positivo che ci risparmiò molte perdite. L’armamento difensivo era costituito da ben 12 mitragliatrici di cal 6,7 e 12,7. Nella calotta sferica superiore (vedi foto) erano piazzate due Colt cal 12,7, nel timone di coda erano installate 4 mitragliatrici fisse sparanti all’indietro, due piazzate ventralmente brandeggiate a mano e le rimanenti in posizione anteriore fisse cosiddette “in caccia”, mancava qualsiasi arma laterale.
D’altro canto la totale assenza di blindature sia dei vetri che della cabina non consentivano l’uso del Baltimore come bombardiere d’assalto a bassa quota.
Per completare questo quadro non esaltante va ricordato che la scarsa efficienza del timone direzionale a terra, così come la forte tendenza all’imbardata causata dalla coppia motrice delle eliche, cagionò numerosi incidenti (tra cui la morte di Buscaglia).
Il Baltimore era un velivolo monocomando a differenza degli aerei italiani da bombardamento, non esistendo la postazione del copilota o secondo pilota. Il pilota era anche motorista , ossia provvedeva sia alla condotta di volo sia alla gestione dei motori. L’azionamento delle manette di controllo dei motori e del passo variabile delle eliche era invertito rispetto a quello standard dei velivoli italiani, i piloti sostenevano che tale manovra non fosse istintiva ma è un po’ come la guida a sinistra, solo una questione d’abitudine. L’azionamento dei freni delle ruote avveniva, così come su tutti gli aerei moderni, premendo sulla pedaliera del timone direzionale mentre sugli aerei italiani il comando dei freni era posto sul volantino o “cloche”. Il lungo elenco delle criticità se non delle limitazioni del velivolo non si esaurisce qui ma per non entrare troppo nei tecnicismi indichiamo altri due macroscopici problemi, la ridotta visibilità del pilota e l’imprecisione dei traguardi di puntamento.
La prima limitazione incideva sulle fasi di decollo ed atterraggio, sulla composizione della formazione in volo ed in generale sulla condotta di volo. La seconda penalizzava la precisione dei lanci, questa limitazione fu risolta con un intenso addestramento ed i risultati vennero conseguentemente. Tuttavia non si deve pensare che il Baltimore fosse un velivolo scadente o peggiore di quelli italiani assimilabili, sebbene di difficile pilotaggio esso introduceva innovazioni comuni a tutti i velivoli contemporanei alleati ma totalmente sconosciute nella tecnologia aeronautica italiana rimasta praticamente ferma, almeno per quanto riguarda i bombardieri, all’anteguerra. Le novità che i nostri piloti trovarono erano:
bullet impianto interfonico di bordo con microfono incorporato nella maschera dell’ossigeno anziché il laringofono
– mitragliatrici telecomandate idraulicamente
– correzione automatica del titolo della miscela al variare dell’altitudine
– regolatore automatico del passo dell’elica
– freni a pressione sulla pedaliera
– avionica e strumentazione perfezionata
Superfluo sottolineare che tutte le indicazioni (e le unità di misura) nonché tutti gli strumenti erano in lingua inglese, nei virosbandometri L significava Left ossia sinistra e analogamente R per Right, non più metri ma piedi, non più km/h ma nodi, non più kg ma libbre ed anche i manuali richiedevano la presenza di un interprete che non era spesso disponibile. Per cui con tanta voglia d’imparare ci s’ingegnò con la pratica, gli specialisti vivisezionarono letteralmente il velivolo studiando minuziosamente gli impianti che erano molto più complessi e sofisticati degli aerei italiani in particolar modo quello elettrico. Nella base di Campo Marino da cui lo Stormo effettuò i suoi voli bellici non esistevano hangar né edifici o baraccamenti per questo gli specialisti operavano all’aperto sui velivoli mentre le manutenzioni erano effettuate con un’officina mobile Tricarro.
Altre attrezzature meccaniche erano ospitate in tende. L’esposizione al freddo ed all’umidità causava notevoli problemi agli aerei, gli inconvenienti abituali erano dovuti agli impianti di avviamento ed alla corrosione dei serbatoi del carburante. Tuttavia nonostante ciò lo Stormo riuscì a conseguire e d incrementare un’efficienza bellica del 90%.
La costituzione dello Stormo Baltimore, il personale, l’addestramento e l’organizzazione tecnico-logistica.
Lo Stormo Baltimore fu ufficialmente costituito nella base di Campo Vesuvio (nei pressi di Ottaviano-Napoli) come 132.° Gruppo in data 1 luglio 1944, il personale era volontario e composto di circa 630 uomini tra ruolo naviganti e servizi a terra. Essi provenivano dal 132.° Gruppo Trasporti a sua volta originato da dai seguenti Gruppi:
– 41.° Gruppo Aerosiluranti formato dalle squadriglie 204 e 205
– 104.° Gruppo Aerosiluranti formato dalle squadriglie 252 e 253
– 132.° Gruppo Aerosiluranti formato dalle squadriglie 278 e 281 (entrambe le squadriglie sono considerate quelle storiche dell’aerosiluramento italiano di cui furono comandanti in periodi diversi Buscaglia ed Erasi vedi foto).
Altro personale proveniva dal 28.°Gruppo da bombardamento su Cant Z 1007.
Definire base quella di Campo Vesuvio è un eufemismo, si trattava di un campo allestito in fretta e furia dagli Alleati ed utilizzato per breve tempo durante l’avanzata verso Roma ma dagli stessi abbandonato dopo l’occupazione stabile dell’aeroporto di Napoli Capodichino. La pista costituita da grelle metalliche stese su un fondo di lapillo finissimo era lunga circa 1000 metri e larga una sessantina. Proprio a causa del lapillo la pista era polverosissima ed inoltre era circondata da alberi con filari di viti così come si usa nella campagna napoletana. L’insieme di questi due elementi, polvere ed alberi pericolasamente vicini fu l’origine di numerosi incidenti, ogni imbardata verso esterno pista poteva rivelarsi mortale. Di converso uno dei fatti positivi e molto apprezzati dal personale era la vicinanza di una città come Napoli che sebbene duramente colpita dalla guerra, conservava una notevole vivacità sociale. Nei ricordi degli aviatori, quel periodo napoletano ha un posto di rilievo così come i numerosi episodi che testimoniavano l’estro e la fantasia tipicamente napoletani nell’arte dell’arrangiarsi. Tra gli episodi più esilaranti cui assistettero alcuni di loro, merita di essere raccontato “il trucco della sigaretta” inventato per svaligiare i camion americani zeppi di ogni bendiddio, la cosa funzionava così; l’attore principale munito di sigaretta fermava in qualche modo un camion americano e gesticolando cercava di accendere la sua sigaretta alla luce dei fari, ovviamente gli americani a bordo scendevano e mentre si sbellicavano dalle risate, i complici alleggerivano silenziosamente e velocemente il carico dal cassone. Pare incredibile ma il trucchetto funzionava egregiamente!
Operazioni sul fronte balcanico
Dopo il duro periodo di addestramento a Campo Vesuvio durato circa 3 mesi (in un incidente di volo perse la vita il leggendario Buscaglia) lo Stormo si trasferì agli inizi di novembre in una pista alle foci del fiume Biferno e chiamata Campo Marino dal nome della vicina località (provincia di Campobasso). Questa pista era lunga circa 1400 metri e come al solito attrezzata con grelle metalliche poiché usata dai caccia Alleati durante l’avanzata dell’anno prima. Essa era stata quindi utilizzata da uno stormo greco di Baltimore che aveva lasciato l’attendamento in condizioni pietose. Gli uomini con i primi aerei e le prime colonne di automezzi arrivati l’11 novembre sotto la pioggia si trovarono a lavorare in mezzo al fango, l’attivazione della base fu veramente assai penosa per tutto il personale che per alcuni giorni utilizzò le razioni di sopravvivenza come fanti in trincea. Grazie ad altri rifornimenti provenienti da Bari e con un S 82 Marsupiale che faceva la spola con Campo Vesuvio si completò l’accampamento e finalmente dopo giorni di maltempo decollavano alle 10,51 del 18 novembre 1944, sei Baltimore per il primo volo di guerra con l’obiettivo di bombardare il ponte di Podgoriza. L’esito del primo bombardamento fu un po’ deludente ma c’era tempo per migliorare. Il Comando dello Stormo fu assunto dal t.col. Renato Roveda mentre il 132.° era comandato dal magg.Massimiliano Erasi. Il 28.° Gruppo era comandato dal notissimo Buscaglia cui subentrò dopo il mortale incidente di Campo Vesuvio il t.col. Paolo Moci anche lui proveniente dalle squadriglie dell’Egeo.
La scelta di operare esclusivamente sul fronte balcanico dal novembre 1944 sino alla fine della guerra, fu concordata dal Comando Unità Aerea con gli Alleati. Si voleva evitare un possibile confronto diretto con altri aviatori italiani dell’A.N.R così come bombardare lo stesso suolo nazionale cosa che avrebbe creato grandissimi problemi etici e psicologici agli aviatori. Agli inizi di novembre tutta la Grecia era stata liberata, i tedeschi sotto l’attacco ad est delle armate russe ed a sud dagli inglesi e dai partigiani greci ripiegavano lungo l’Albania, la Macedonia ed il Kosovo resistendo in profondità e sfruttando tatticamente la conformazione montagnosa del territorio nonché la difficile viabilità. A fine novembre l’Albania era liberata. L’inverno segnava una battuta d’arresto per gli Alleati ma le bande partigiane di Tito davano filo da torcere ai tedeschi. In questo scenario il compito dello Stormo Baltimore era quello di supportare le azioni della guerriglia partigiana, bombardare obiettivi nemici fissi e mobili, ostacolare la ritirata delle truppe tedesche. Il coordinamento e la direzione delle operazioni aeree sull’ex Jugoslavia era della Balkan Air Force, una forza d’intervento multinazionale, come si direbbe oggi, con sede a Bari. Ne facevano parte oltre alla RAF, la Regia Aeronautica, la ricostituita Aeronautica Greca (anch’essa dotata di Baltimore), la South African Air Force e la New Zealand Air Force. Lo Stormo Baltimore pur essendo gerarchicamente dipendente dal Comando Unità Aerea di Bari era, di fatto, funzionalmente dipendente dal 254.° Wing della RAF che assegnava giorno per giorno gli obiettivi, valutava i risultati dei bombardamenti, verificava l’efficienza operativa dello Stormo. Pur essendo la struttura della RAF abbastanza diversa dalla Regia possiamo assimilare il Wing al nostro Stormo, e lo Squadron al conglomerato gruppo-squadriglia ossia all’unità elementare aerea. Sebbene questa specie di “tutela” del 254.° Wing avesse inizialmente creato incomprensioni e vi fosse una notevole diffidenza degli inglesi, questa collaborazione si rivelerà proficua per i nostri aviatori e sarà di beneficio anche agli inglesi stessi (notoriamente meticolosi e critici) che nel corso degli eventi ebbero modo di rivedere il loro giudizio giungendo a elogiare ufficialmente i nostri aviatori.
Normalmente si effettuava un briefing pomeridiano con gli inglesi e si eseguiva una sola missione giornaliera diurna per il giorno successivo. Il pericolo più grande e che poi determinò la perdita di vari equipaggi era costituito dalla contraerea. I tedeschi senza ormai alcun copertura aerea avevano adottato una tattica molto efficace, spostavano in continuazione le loro batterie antiaeree della Flak, le micidiali le batterie da 88 mm, aggregandole per creare masse di fuoco. Poteva quindi accadere che i nostri aviatori si trovassero inaspettatamente accolti dal micidiale fuoco dei pezzi da 88 quando nel briefing del giorno precedente le foto della ricognizione segnalavano assenza di contrasto.
La precisione dei nostri aviatori fu riconosciuta dagli inglesi che soprannominarono il magg. Erasi come “mr.bridge” (non certamente per la sua capacità nell’omonimo gioco di carte) mentre il t.col. Moci “mr. Stopping train”. Questo nomignolo gli fu affibbiato quando distrusse completamente un treno carico di munizioni nella stazione di Bos Novi. Nel corso dell’inverno 1944-5 le condizioni materiali ed operative furono molto dure per il personale che viveva nelle tende, si riuscì a diminuire l’incidenza delle malattie respiratorie e migliorare la vivibilità tenendo permanentemente accese delle stufe da campo all’interno delle tende stesse. Di grande aiuto per gli uomini, fu nel Natale del 1944 la generosità della popolazione locale, che aprì le case ospitando gli uomini come loro parenti. Mi pare ipocrita tacere il fatto che, come in tutte le aggregazioni militari (definite e studiate in sociologia come particolari tipi di comunità) esistessero pulsioni fisiologiche non dilazionabili. In considerazione della lontananza da grandi centri abitati e per non creare situazioni antipatiche con la popolazione locale, il Comando di Stormo con notevole “savoir fare” consentì l’acceso al campo di prostitute purché munite di regolare certificato sanitario.
Per consentire al personale in licenza di raggiungere le famiglie, non dimentichiamo la precarietà dei trasporti che perdurò in Italia ben oltre il dopoguerra, il Comando di Stormo organizzò dei convogli d’autocarri che raggiunsero varie città dell’Italia sin allora liberata come Firenze, Roma e Napoli.
Attività postbellica dello Stormo e suo scioglimento
Il giorno 5 maggio 1945 decollarono 12 Baltimore per bombardare la stazione ferroviaria di Zagabria ma furono richiamati via radio mentre erano in volo sull’Adriatico, la guerra era finita, possiamo immaginare il clima che si respirava a bordo quella mattina. Gli equipaggi non erano tuttavia consapevoli che quella missione abortita sarebbe rimasta nella storia perché, in effetti, fu l’ultima missione dei bombardieri italiani nella seconda guerra mondiale. Dovranno fortunatamente passare lunghi anni prima che altri bombardieri italiani siano chiamati all’azione, parliamo dei nostri Tornado nella Guerra del Golfo. Con la pace ed il conseguente Trattato, furono imposte pesanti limitazioni in campo militare all’Italia, tra queste il divieto di possedere velivoli da bombardamento. Seguiamo quindi lo Stormo Baltimore che si trasferisce a fine giugno 1945 sull’Aeroporto di Roma Urbe ed inizia la sua trasformazione in stormo trasporti, nel frattempo la pista abbandonata di Campo Marino a fine luglio è già divenuta impraticabile e di essa ormai non c’è più traccia inghiottita dal massiccio sviluppo edilizio degli anni 60-70. La trasformazione dei velivoli comportò la rimozione delle mitragliatrici e dei sistemi di puntamento nonché la disattivazione dei meccanismi di apertura dei portelloni del vano bombe e l’eliminazione delle pinze portabombe. Fu ricavato nell’ex vano bombe un angusto spazio adibito al trasporto misto merci-passeggeri che sicuramente avranno provato la stessa sensazione del tonno in scatola. Nel 1946 furono compiute numerose missioni estere perfino a Londra, Parigi, Lione e lo stormo rimase sull’aeroporto di Guidonia per tutto il 1947 dove fu incorporato nel Comando Raggruppamento Bombardamento e Trasporti. Un nome poco adatto al trattato di pace che fu cambiato nel 1948 in Raggruppamento Misto. Agli inizi del 1948 lo Stormo ormai in fase d’esaurimento fu trasferito all’aeroporto di Palese Macchie (Bari) ove prese in consegna i velivoli Lightning P 38, macchine ultra logore cedute dagli Alleati Americani. Lo scioglimento ufficiale dello Stormo, avvenuto il 1 novembre 1948, segnò la fine del velivolo Baltimore ma non della tradizione che continua nel 3.° Stormo Caccia da Ricognizione Tattica che dispone oggi di velivoli AMX. Nel mondo sopravvivono solo un paio di esemplari del Baltimore conservati in Museo Aeronautici del Sud Africa e della Nuova Zelanda, un raro cimelio rintracciato in Italia (vedi foto) dallo scrivente è il volantino del velivolo 9 della 253.a squadriglia.
L’esperienza dello Stormo Baltimore, uno stimolo alla riorganizzazione della moderna forza aerea
Lo Stormo Baltimore, modellato in tutto e per tutto come uno Squadron della RAF, rappresentò un’esperienza assolutamente unica ed innovativa rispetto al modello organizzativo ed operativo della Regia. Credo che all’epoca quest’esperienza, accolta con entusiasmo dal personale, sia stata forse poco valorizzata e recepita dalla stessa Aeronautica Militare che per gli anni successivi al conflitto continuò a ricalcare ordinamento e schemi obsoleti. Val la pena di sintetizzare alcuni punti essenziali della dottrina e dell’esperienza RAF trasmessi agli aviatori italiani:
– Il numero assicura il successo delle formazioni da bombardamento. Quest’assioma douhettiano, perfettamente recepito dagli Alleati, portò a definire in almeno 36 velivoli l’unità operativa elementare (Stormo basato su tre gruppi). Formazione di volo colonna di 3 cunei di 5 velivoli ciascuno più uno di chiusura.
– Disciplina del traffico dei decolli e atterraggi per minimizzare i tempi morti, non penalizzare l’autonomia dei velivoli ed aumentare l’efficienza complessiva della missione.
– Sviluppare le piste di decentramento e di raccordo, abolire i fabbricati nella zona aeroportuale.
– Allungare la piste sino a 2500 metri.
– Snellimento dell’organizzazione e accorciamento della catena di Comando. Nel modello inglese non esistevano Comandi di gruppo, di Brigata, di Divisione Aerea. La catena inglese era di 4 livelli che nel modello italiano si sarebbero tradotti in Stato Maggiore-Comando Squadra Aerea-Comando Stormo-Comando Gruppo.
– Minimizzazione della burocrazia. Autonomia tecnica e logistica del Wing. Elevata mobilità-meccanizzazione dello Stormo con parco veicoli adeguato.
– Servizi tecnici e logistici semplificati, sburocratizzati. Per le mansioni di governo usare manodopera civile anziché militari. Unificazione dei servizi dei materiali di consumo sotto la dipendenza del Wing.
– Equipaggi fissi su velivoli fissi. Il personale di volo deve solo e soltanto volare, non adempiere ad altre attività o servizi a terra.
– Introduzione di nuovi profili professionali quali “ufficiale navigatore”, “mitragliere” e “ufficiale direttore del tiro”.
Trovo emblematico che a distanza di 60 anni da quelle operazioni, le forze aeree della NATO abbiano applicato gli stessi principi douhettiani sugli stessi cieli della Serbia e credo che tutti i lettori possano convenire sulla straordinaria modernità degli insegnamenti e delle tecniche della RAF che i nostri aviatori appresero in quel lontano 1944.
Fonti
Archivio Centrale dello Stato. Gabinetto del Ministro anno 1944.
Archivio Storico dell’A.M.I.
Diari Storici anni 1943-4-5
Comando Unità Aerea busta 1098
Stormo Baltimore busta 1131 (132.o Gruppo)
28.°Gruppo busta 1143
Bibliografia
Ali nuove n.5-6 marzo 1960
“Buscaglia e gli aerosiluranti” O.Giuffrida SMA
“Storia degli aerosiluranti italiani” C.Unia Ed.Bizzarri
“In volo tra guerra e pace” A.Mura ed. Apostolo
Foto
Archivio fotografico dell’autore
Fototeca A.M.I.