Il sentore di un imminente azione tedesca su Creta pervenne al Comando italiano Egeomil indirettamente ed abbastanza tardi, infatti la decisione unilaterale dell’invasione presa da Hitler risaliva ad aprile mentre l’ordine d’attacco vero e proprio fu impartito il 25 di quel mese. Anche Mussolini ne venne informato all’ultimo momento. Poichè la Royal Navy aveva il controllo dei mari mentre i tedeschi disponevano della superiorità aerea, la scelta rischiosa ed obbligata per questi ultimi fu quella di attuare un grande sbarco aereo con un intero corpo il 7.o Fliegerdivision comandato dal gen.Student. Tuttavia era necessario un supporto navale italiano per due piccoli convogli tedeschi salpati dal Pireo. In un primo momento il contributo italiano fu quindi di supporto navale con l’invio di tutte le siluranti italiane al Pireo e l’agguato di alcuni sommergibili della base di Lero. Il 21 maggio, due convogli tedeschi composti da circa 30 caicchi e scortati dalle torpediniere italiane, Lupo e Sagittario, vennero attaccate da un incrociatore britannico e vari cacciatorpediniere. Nonostante la coraggiosa difesa apportata dalle due unità italiane comandate dal cv Minbelli e dal tv Cigala Fulgosi, numerosi caicchi furono colpiti ed affondati, elevatissime le perdite tra i 2.300 cacciatori tedeschi del 100.o Rgt. Gebirgjager pertanto i due convogli fecero marcia indietro per il Pireo. Mentre l’esito dello scontro tra le forze britanniche (circa 40.000 uomini) contro 11.000 paracadutisti tedeschi si manteneva incerto, Mussolini decideva di intervenire a fianco dei tedeschi dando ordine di organizzare in fretta e furia una mini invasione. L’accoglienza iniziale del comando tedesco, che ben conosceva la scarsa efficienza italiana, a tale progetto fu molto fredda, tuttavia per compiacere l’alleato e per alleviare in qualche modo lo sforzo, alla fine i tedeschi accettarono. Il comando della flottiglia d’invasione fu affidato al capitano di vascello Aldo Cocchia, mentre il comando delle truppe fu affidato al col.Ettore Caffaro. Il corpo di spedizione italiano era composto dal reg.to di formazione della Div. Regina, due compagnie di marinai, reaparti di Camice Nere e Carabinieri per un totale di circa 2.500 uomini. L’armamento pesante disponibile era piuttosto antiquato, 46 mitrgaliatrici FIAT 8 mm, 6 mortai da 81 mm,18 da 45 mm, 6 cannoni da 65/17 e da 47/32, 13 carri leggeri L3, nove motociclette, un autocarro e 205 muli. La flotta assemblata per l’occorrenza era altrettanto rimediaticcia ed inadeguata, 4 gazolini,2 piccoli piroscafi, la nave fluviale Porto di Roma, due navi frigorifere da pesca, il vaporetto lagunare Giampaolo, una nave cisterna, due rimorchiatori. Alcune unità vennero dotate di passerelle di sbarco ma nessuna di esse (salvo la Porto di Roma) era adeguata sia per pescaggio, capacità di trasporto e dotazioni di bordo, allo scopo. Pertanto i militari furono costretti a viaggiare in coperta con i salvagente indosso e senza adeguati servizi igienici. La scorta navale era costituita dal ct. Crispi, dalle torpediniere Lince, Libra e Lira più sei MAS. Il 25 maggio fu eseguita un’esercitazione di sbarco a Rodi che si rivelò disastrosa ma nonostante ciò si decise di procedere, il 27 maggio alle ore 11 iniziarono le operazioni d’imbarco che andarono avanti sino alle 17. Per risparmiare benzina le navi più piccole e lente furono prese a rimorchio da quelle più grandi, alle prime ore dell’alba del 28, il convoglio si trovava nei pressi dell’isola di Saria (Scarpanto) e venne ragiunto dalle unità maggiori di scorta. A causa della mancanza di apparati radio nella flottiglia, i comandi venivano impartiti da alcuni MAS che a mò di cani pastore facevano la spola tra le navi del convoglio. La velocità media del convoglio era poco più di 7 nodi ma almeno le condizioni meteo erano buone. Introno alle ore 13 la ricognizione aerea segnalava l’avvistamento di una formazione navale che nel giro di 4 ore poteva raggiungere il convoglio. Si decise di proseguire alla massima velocità possibile ovvero 8 nodi, alcune unità rimasero indietro e deviarono verso l’isola di Kassos (raggiunsero Creta il giorno dopo), fortunatamente intorno alle 16 furono avvistate le coste di capo Sidero. Lo sbarco avvenne nella baia di Sitia, nella zona orientale dell’isola, non ci fu alcuna opposizione e le operazioni di sbarco si protrassero per tutta la notte. Tuttavia intorno alle 18 le unità navali inglesi furono attaccate da aerei germanici nel canale di Kassos, per sole due ore il convoglio italiano era scampato al massacro! La partenza delle truppe avvenne alle ore 12 del 29 maggio, durante la marcia vi furono scontri con formazioni armate della resistenza cretese che furono sbaragliati senza problemi. Il 30 maggio i carri italiani occupavano il bivio di Jerapetra incontrando alcuni reparti tedeschi motorizzati. Il 31 maggio le truppe italiane raggiungevano gli obiettivi stabiliti. Le condizioni in cui avvenne la marcia a piedi dei reparti italiani furono pesantissime (60 km in due giorni), sotto il sole rovente, in carenza di acqua e rifornimenti, appesantiti da un antiquato equipaggiamento e vestiario, per di più sotto una disciplina durissima imposta dal col. Caffaro (inviso alle truppe proprio per il suo autoritarismo e la totale indifferenza). Una vivida cronaca di quest’impresa è narrata da Gianni Baldi nel suo libro “Dolce Egeo guerra amara”, edizioni Bur. Questa tardiva e sgangherata spedizione italiana, non conseguì alcun risultato dato che gli inglesi avevano già deciso di sgomberare l’isola, le truppe italiane a Creta andarono incontro ad un tragico destino alla data dell’armistizio, a differenza di molti militari italiani che riuscirono a fuggire da Rodi, essi rimasero intrappolati. Ad oggi sono ancora ignote le vicende di questi uomini catturati dai tedeschi e braccati dagli stessi partigiani cretesi, i resistenti furono fucilati mentre quasi tutti gli altri persero la vita nei naufragi della successiva evacuazione verso la Grecia, in sostanza questo corpo di spedizione fu annientato dai tedeschi.