A Rodi già dalla fine dei combattimenti dell’ 8 settembre, iniziò la disperata ricerca di un qualche mezzo per raggiungere le coste della vicina Turchia. Il porto e la città di Rodi sarebbero dovuti rimanere sotto il controllo italiano indefinitamente in base all’accordo di resa firmato tra Campioni e comandante tedesco generale Kleeman. Questa clausola così come tutte le altre non furono rispettate, tuttavia per alcuni giorni il porto e la città di Rodi non furono occupati dalla Sturm Rodos, questo fatto rappresentò la salvezza per centinaia di militari e di civili. Il porto di Mandraki era in quei giorni caotici, affollato di imbarcazioni di tutti i tipi che lasciavano il porto stracariche di gente. L’assalto alle imbarcazioni ed il panico che si era diffuso anche presso la comunità civile testimoniava il terrore dei tedeschi. Non erano solo timori purtroppo, la comunità ebrea di Rodi, circa 6.000 persone, fu totalmente deportata nell’anno successivo, nessuno tornò da Auschwitz. Le fughe, dopo l’esodo iniziale di massa, assunsero la dimensione individuale o di piccoli gruppi di militari italiani che si riunivano alla bisogna. Questo stillicidio di fughe è impossibile da raccontare, tuttavia molti episodi, se non fosse per il tragico contesto storico, avrebbero potuto benissimo dare spunto per un romanzo salgariano o grottesco. In quei giorni qualsiasi cosa fosse in grado di galleggiare divenne il più ambito oggetto di predazione. Primi a sparire furono i battellini pneumatici in dotazione ai trimotori S 79 e Cant Z 1007. Naturalmente anche i motoscafi della Regia Aeronautica, usati per trainare gli idrovolanti Cant Z 506 in porto, insieme alle lance a motore della Marina mollarono gli ormeggi per la Turchia. Le nostre ricerche su queste pagine dimenticate hanno riportato alla luce delle singolarissime vicende.
Le fughe iniziate a settembre continuarono nei mesi successivi, neppure le difficili condizioni invernali del mare del gennaio e febbraio 1944 le fermarono. Il numero di coloro che trovarono rifugio in Turchia tra il settembre e l’ottobre si aggira sulle 1.200 unità
Un’odissea che per molti di loro si concluse tragicamente in fondo al mare. Non sappiamo né probabilmente sapremo mai chi e quanti di loro morirono naufraghi in mare, uccisi sulle spiagge dai tedeschi o in altre circostanze, manca qualsiasi informazione certa. Ritengo che il numero dei dispersi italiani nel periodo considerato si possa stimare intorno a 100-300 unità, Ma questa stima è ulteriormente complicata dal fatto che un numero imprecisato di militari italiani fuggiti insieme a centinaia di militari inglesi dopo la resa di Leros, furono trasferiti in Siria al Campo di Kusadasi senza transitare nei tre campi d’internamento destinati agli italiani dalle autorità turche.
Ai militari italiani vanno aggiunti anche un certo numero di italiani profughi civili del Dodecaneso, di questi profughi è ancora più difficile stabilirne sia il numero effettivo sia la destinazione perché non appartenendo alle forze armate non fu compilato alcun elenco, abbiamo notizia che alcuni di essi, internati nel campo di Beysehir, furono già rilasciati nell’ottobre 1943 dai turchi e si diressero in Siria.
L’afflusso dei militari fuggitivi si rivelò consistente già dal settembre 1943 pertanto le autorità turche impiantarono tre campi d’internamento, Sparta o Isparta, Tefenni ed il già citato Beysehir. Già dall’ottobre 1943, l’allora Ambasciatore Italiano in Turchia Rocco, si attivò sia con il Ministero degli Affari Esteri Turco sia con l’Ambasciata d’Inghilterra ad Ankara per organizzarne il rimpatrio.
Alla data del 1.° gennaio 1944 i militari internati delle tre armi in Turchia erano 2837. Essi erano alloggiati nei tre campi menzionati di Sparta o Isparta, Tefenni ed il già citato Beysehir. Quest’ultimo campo era sito in zona malarica ed era il più disagiato.
A seguito della richiesta di rimpatrio degli internati da parte dell’Ambasciatore Italiano, il Governo Turco formò delle commissioni incaricate di identificare i militari ed accertarne le singole posizioni. Il lavoro condotto da queste commissioni portò alla decisione di liberare 832 militari su 1191 ad Isparta, 1577 su 1756 a Tefenni. Il Governo turco organizzò quindi tre convogli ferroviari, il primo partì da Isparta il 20 febbraio, il secondo partì il 27 da Burdur con 800 uomini provenienti da Tefenni mentre il terzo fu organizzato il 5 marzo. L’ultimo convoglio partì il 13 marzo 1944 con i rimanenti 503 internati.
A parte i malati e convalescenti forzatamente bloccati in Turchia, solo cinque marinai chiesero di rimanere internati mentre un pugno d’uomini autodichiaratisi aderenti alla Repubblica Sociale rimase in stato di detenzione.
Il trasporto dei militari italiani avvenne sia in treno, sia in autocarro, sia a piedi. I convogli ferroviari giungevano alla frontiera turco – siriana quindi gli uomini sostavano ad Aleppo in Siria e poi in transito al campo di El Burey in Palestina per giungere in Egitto ed essere imbarcati da Alessandria verso l’Italia. Durante l’attraversamento del Medioriente furono alloggiati presso campi militari inglesi dove ricevettero uniformi dell’esercito inglese. L’impatto con la disciplina, l’addestramento e la meticolosa organizzazione dell’esercito di Sua Maestà Britannica fu per molti di loro traumatico rispetto all’esperienza militare vissuta nel Dodecaneso, dove predominava l’approssimazione e la rilassatezza tipicamente latine. Abbiamo scoperto che molti internati italiani furono…dimenticati, leggete queste incredibili vicende.
Tuttavia quest’esperienza determinò in molti la nascita di un sentimento di rispetto e d’ammirazione per gli ex nemici di cui poterono costatare la superiore preparazione militare e l’eccellente equipaggiamento. Il morale di questi militari così come la loro determinazione a continuare la guerra ne uscì rafforzato.
copyright L. A. Maltoni 2001