CASA DEI PINI - IL CAMPO DELL'ORRORE
Racconto di Giorgio Vrucos
All’Armistizio seguirono tre giorni di scontri tra la guarnigione italiana e quella tedesca. Gli scontri cessarono l’11 settembre sotto la minaccia di bombardamento della città dall’aviazione tedesca, con un accordo tra il generale tedesco Ulrich Kleeman, Comandante della Divisione d’Assalto RHODOS (Sturmdivision RHODOS) ed il Governatore Civile e Militare del Dodecaneso ammiraglio lnigo Campioni. Tale accordo che non venne formulato per iscritto, fu il risultato di trattative svolte ad Afando, non verbalizzate, e prevedeva la cessazione delle ostilità dalla parte Italiana, lo spostamento delle truppe italiane in altre località, la consegna dell’armamento delle unità e la sua custodia in depositi vigilatii, l’assunzione del comando militare di Rodi dal generale Kleeman, l’esercizio del Governo Civile dal Governatore Italiano senza ingerenza tedesca nei suoi rapporti con il Governo Italiano.
L’isola venne divisa in tre settori :Il Settore Nord, il Centrale (Mitte) ed il Sud. Furono costituiti campi di concentramento per accogliere provvisoriamente le disarmate unità italiane fino al loro trasferimento in Germania ed in Polonia. Si sparse allora la voce che una o due navi furono silurate e che affondarono con tutti i passeggieri. Oggi è certo che la nave DONIZETTI che portava 1.800 uomini fu affondato al largo di Prassonissi il 23 settembre 1943 e che tutti i passeggieri sono annegati. Parimenti la nave PETRELLA fu affondata l’il febbraio 1944 con 4.116 prigionieri dei quali solo 19 sono sopravissuti.
Comunque a Rodi rimase un numero notevole di soldati italiani. Di questi circa 1.500 aderirono all’Esercito Tedesco come combattenti o come lavoratori. Un capitano italiano, di nome Ferdinando Cerulli, formò un reggimento di Italiani al quale diede il nome RODI.
Verso la fine di settembre 1944, al Generale Kleeman succedette il generale Otto Wagener, dottore in filosofia, il quale, volendo raccogliere i soldati italiani che non si erano arresi e si nascondevano nell’isola, li invitò a presentarsi entro l’ottobre per sistemare il loro stato. Quelli che si presentarono furono provvisti di carte d’identità che li permettevano di occuparsi in qualche lavoro. Al contrario quelli che furono arrestati dopo la fine ottobre 1944 sprovvisti di carta d’identità, circa cinquanta, sono stati rinchiusi nel Campo Nord (Nord FeId) in località Casa dei Pini insieme ad altri che avevano aderito alla Wermacht ma si erano compromessi in seguito, e a quelli catturati a Tilos (Piscopi).Comandante del Campo Nord era il tenente di complemento Walter Mai, capo meccanico nella sua vita privata, il quale in base al Codice Penale Militare come vigeva in tempo di guerra, e i diversi proclami del Comando Militare Tedesco, compilò un Regolamento del Campo, unico nella sua crudeltà, che prevedeva, tra l’altro, la pena di morte:
- a. In caso di recidiva nella sosta al gabinetto per oltre tre minuti;
- b. In caso di recidiva nel tentativo di parlare con altro internato durante la mezz ora di uscita quotidiana dalla tenda;
- c. In caso di recidiva reiterata nel bussare ad una tenda anche se per cercare del cibo;
- d. In caso di recidiva nella simulazione di una malattia qualsiasi
- e. In caso di mancata sorveglianza sugli altri internati rendendone in questo modo possibile l’evasione. Per ogni detenuto evaso sarebbero fucilati tre suoi condetenuti.
Il regolamento fu definito inumano e « bolscevico » dal capitano di riserva Helmut Meeske, capo del Servizio Controspionaggio, giudice d’appello nella sua vita civile, ma venne approvato dal maggiore Herbert Niklas, Comandante del Settore Nord e dal generale Wagener.Ritengo storicamente opportuno riferire che dei 6.000 militari tedeschi prestanti servizio a Rodi, i più della metà erano contrassegnati dal numero 999 che indicava trattarsi di persone che, allo scopo di riscattare le colpe di un passato che li aveva resi “indegni di difendere la Patria”, erano stati reclutati da stabilimenti di pena e da campi di concentramento per motivi politici, erano cioè contrari al Partito Nazional-Socialista. Cosi si spiega la differenza nel loro comportamento.
Copia della sentenza di condanna di militari italiani e rodioti emessa dal tribunale nazista del gen.Wagener
Il Campo di Casa dei Pini, che in principio era una semplice stazione di traduzione, acquistò presto una orrenda fama a causa dell’alta percentuale dei decessi tra i detenuti, sia per le tribolazioni, sia per le fucilazioni in applicazione del regolamento, senza alcun procedimento, senza istruttoria, senza processo, senza difesa. Basta citare che avendo un detenuto Italiano allungato il braccio oltre il reticolato di cinta per cogliere una margherita selvatica (nell’interno del campo non era rimasto neanche un filo d’erba mangiabile), fu ucciso immediatamente dalla sentinella dell’osservatorio. Siccome una sentinella del Campo Centrale, ad Apollona, fu trovata uccisa, furono fucilati in rappresaglia cinque detenuti in quel campo e cinque dal campo di Casa dei Pini, i quali morirono, sciagurati, senza capire che rapporto potevano avere con la morte di un soldato tedesco avvenuta alla distanza di cinquanta chilometri dal loro campo. Con tale decimazione rimasero pochi uomini capaci di lavorare e perciò fu necessario arricchire il campo con nuovi detenuti.
Infatti il 7 febbraio 1945 fu emanato l’Ordine n. 34 del Governatore Militare, il quale disponeva la traduzione a Casa dei Pini di civili che scontavano varie pene nelle carceri di Coschino. Erano circa cinquanta. Tra loro Stefanos Jerondas di Acangelo, Cleobulos Cagigiorgio di Soronì e Giovanni Dendrinos di Rodi che erano stati condannati a dieci anni di lavori forzati il 18 settembre 1944 per collaborazione con i servizi d’informazioni alleati.
lI 24 aprile 1945, cioè agli ultimi giorni della guerra, cinque internati dichiararono di essere impotenti a lavorare e chiesero di essere visitati da un medico. Il tenente Mai li lasciò nella grotta che serviva loro da dimora sotto la vigilanza di una sentinella e avviò gli altri ai lavori abituali fuori del Campo. I cinque rimasti nella grotta, aprirono la porta di legno ed evasero. La sentinella, o perchè si era addormentata, o perchè si era allontanata temporaneamente, s’accorse dell’evasione con un certo ritardo. Informò subito il tenente Mai il quale spedi una pattuglia in cerca dei fuggitivi. Due di questi che non si fermarono all’intimazione furono uccisi sul posto. Altri due che non avevano potuto allontanarsi a causa della loro debolezza, lfurono condotti dal tenente Mai il quale ordinò che fossero fucilati li davanti a tutti i loro condetenuti.
La mattina seguente, 25 aprile 1945, ci fu l’appello di tutti i detenuti. Furono messi in fila ed il tenente Mai annunciò loro seccamente che in applicazione del Regolamento, essendo fuggiti cinque, dovevano essere fucilati quindici, tre per ogni evaso. Ma per motivi di clemenza (!) siccome erano stati già uccisi quattro, sarebbero fucilati soltanto altri undici. E passando davanti ai detenuti esterefatti, italiani e Greci, sceglieva a piacimento quelli che avrebbe fucilato. Tra quelli che pagarono con la loro vita questo regolamento disumano, c’erano anche i Cleobulos, Cagigiorgio, Stefanos Jerondas e Giovanni Dendrinos. I responsabili di questi ingiustificati ed imperdonabili sacrifici umani, furono accusati dalla Repubblica Italiana come criminali di guerra, «perché senza necessità o, comunque, senza giustificato motivo, usarono violenza contro privati Italiani (anche i Dodecanesini erano Italiani) non partecipanti alle operazioni militari, ponendoli in campi di concentramento, cagiona vano la morte di un numero imprecisato di essi per maltrattamenti, fame, mancanza di assistenza sanitaria, fucilazioni per rappresaglia e per tentativi di fuga.»
Gli Inglesi li consegnarono alla Giustizia Italiana ed il Tribunale Militare Territoriale di Roma, con la sua sentenza no 170/43/ deI 16 ottobre 1948, condannò: Il generale Otto Wagener alla pena di anni quindici di reclusione, il maggiore Herbert Niklas alla pena di anni dieci di reclusione, il tenente Walter Mai (comandante del Campo) alla pena di anni dodici di reclusione. In seguito però, il 1951, con Decreti Presidenzial, fu condonata loro la pena residua. Alla memoria di quanti Greci ed Italiani avevano lasciato i loro corpi travagliati nel Campo di Casa dei Pini, il Comune di Rodi ha eretto il 1990, su iniziativa del poeta e pittore Nico Chartofihis, adottata dal Lions Club, un semplice monumento. Al suo scoprimento awenuto il 14 novembre 1990, è stato invitato il generale Matteo Chalkiadakis ad issare la bandiera greca. Li dove sventolava la croce uncinata della violenza, un generale greco (chi Io poteva sognare negli anni 1944-45) issava la bandiera celeste-bianca al suono dell’inno alla Libertà. Era un momento carico di indescrivibile emozione. La folla si accorgeva, cosi incosciamente, di adempiere un dovere, di rendere un onore alla memoria di quelli che si sacrificarono in quella località senza però conoscere esattamente la storia. Tra quella folla c’era uno che era uscito vivo da quel campo dell’orrore C’erano anche alcuni parenti di internati che furono fucilati o morirono dai maltrattamenti. Questi sapevano e ricordavano e soffrivano. Nonostante fossero trascorsi quarantasei anni.