Per il lettore che vuole approfondire consigliamo il testo di riferimento che ricostruisce le vicende dell’8 settembre in Egeo:
La resistenza dei militari italiani all’estero, autore Iuso Pasquale, edito dall’Ufficio Storico SME.
Testo di Gino Manicone
Sul piano storico, tale valore di natura militare, civile e morale nato in Italia dopo l’evento armistiziale del settembre 1943, negli ultimi decenni è andato assumendo interesse politico assai importante, da influenzare notevolmente la leadership nazionale.Si parla, però, di resistenza solo come spirito antifascista, cioè di parte, di fazione, quasi mai come elemento contro la politica del ventennio e del famoso «patto di acciaio» con la Germania nazista. Da ciò è scaturito che alcune forze politiche, soprattutto quelle di sinistra hanno enfatizzato solo le gesta ed i comportamenti dei celebrati «partigiani» e cioè di quei combattenti per la libertà che hanno operato soprattutto nel nord Italia sempre all’ombra dei famosi fazzoletti rossi, verdi, bianchi ecc. quali emblemi politici di riferimento. Scevri da ogni spirito critico e senza nulla togliere al valore espresso dalle brigate partigiane del nord, bisogna con forza affermare che per fare una sintesi storica, completa e veritiera del concetto di resistenza, bisogna aggiungere a quella fino ad oggi variamente festeggiata ad ogni piè sospinto quella fatta in anteprima anche da tanti eroici reparti militari sui vari fronti di guerra già a partire dalla mattina del 9 settembre 1943 e cioè in Grecia, Albania, Iugoslavia, Egeo ecc. il cui contributo agli avvenimenti è stato espresso da migliaia di caduti, dispersi e deportati. Il culmine ditale resistenza, combattuta senza fazzoletti di maniera ma con le sacre stellette appuntate sul bavero della giacca è nell’albo d’oro della storia, rappresentato dai martiri di Cefalonia, di Coo, di Lero, di Rodi, nonchè dalle gloriose gesta della Divisione «Pinerolo», della Divisione «Firenze», della Divisione «Perugia», della Divisione «Bergamo» con gli eccidi di Triplj e Sinj ed altri gloriosi reparti che lontani dalla Patria, nelle aspre giogaie dell’Epiro, della Tessaglia e della Iugoslavia hanno scritto pagine davvero onorevoli nella storia del soldato italiano.
La resistenza con la lettera maiuscola, potrà assumere, dunque, valore di patrimonio morale della Nazione solo dopo che un’analisi storica completa ed approfondita tenga conto di tutti gli avvenimenti che sconvolsero i ‘Italia nei Settembre 1943 e dia adeguato risalto morale a tutti coloro che hanno dato la vita per la Patria e a tutti coloro che hanno sofferto la durezza della deportazione e della prigionia. La grande sconfitta va imputata a tutta la Nazione e non ai singolo fantaccino disperso nei vari fronti di guerra la dove era stato inviato per compiere un preciso dovere.
Il mio modesto contributo a tale importantissima tematica è riservato unicamente alla resistenza svoltasi nelle isole dell’Egeo dove, quale membro dell’Aviazione Italiana, rimasi coinvolto dai tristissimi avvenimenti. Per i lettori volenterosi si rimanda anche ai pregiatissimo volume espresso dalla Commissione Ministeriale nominata dal Ministro della Difesa con Decreto 32312 dei 5/3/1989 Edito a nome di Pasquale Iuso dalla Rivista Militare e del quale si fa riferimento a molte parti di esso nella presente trattazione. Secondo quanto riportato nel diario della Divisione Rhodos il Generale Kleemann, dopo la comunicazione delle ore 7,10 della caduta dei due aeroporti nelle sue mani, comunicò gli ordini operativi per l’attuazione della terza fase del Piano «Kostantin», ossia il disarmo delle truppe italiane, cosa questa assai difficile, come vedremo in seguito perché quasi nessuno dei comandanti dei settori periferici era disposto a vendere la pelle a buon mercato come i «lascia fare» della notte precedente.
Tutta la mattinata del nove per i tedeschi fu una mattinata preparatoria all’attacco e molti reparti corazzati sferragliavano lungo le strade interne dell’isola per acquisire posizioni favorevoli per attaccare i vari settori separatamente in modo da scompaginare una eventuale azione unitaria degl’italiani. Una strategia, insomma, che si rifaceva a quella romana degli Orazi e Curiazi.
Da parte italiana, invece, il Generale Forgero indisse la riunione al Comando di Monte Profeta di tutti i comandanti di settore per articolare un’ azione comune tendente a contrastare la baldanza avversaria. La riunione non riuscì ad esprimere una vera strategia di comportamento e ben presto si trasformò in un seminario di chiacchiere senza costrutto. I vari comandanti, mesti, delusi e frustrati ritornarono verso mezzogiorno nelle loro sedi in attesa dei futuri eventi che presagivano alquanto tormentati e difficili. Bisognava rispondere agli attacchi colpo su colpo come i pugili sul ring, ma se a un colpo di fucile rispondeva un colpo di cannone tutte le teorie che avevano imparato sui tavoli della scuola di guerra andavano veramente a farsi friggere. Bisogna ammettere che la posizione di questi generosi comandanti senza ordini e senza speranze era quella di coloro che si trovano ad un bivio e non sanno quale strada prendere. Per ciascuno di noi in quelle ore di penosa attesa anziché di un generale o di un colonnello pappamolla sarebbe stato meglio un duro sergente ma che sapesse menare le mani. Emergeva in quelle ore la crisi evidente del Comando piramidale, cioé l’albero che cade in terra insieme ai suoi frutti. Fino alle ore 12,30 non era ancora accaduto nulla di rilevante ma dopo pochi minuti iniziò l’azione di disarmo. I tedeschi indirizzarono subito la loro attenzione contro il Comando della Divisione «Regina» di Capochiaro. A quell’ora il Comandante Gen. Scaroina non era ancora tornato dal «seminario» di Monte Profeta. Erano le ore 12,20 quando il Capitano Godeckimeyer aiutante di campo della Rhodos, accompagnato dal Cap. Bayer (interprete) e il Consigliere della Magistratura di Guerra Dr. Giesecke giunse al Comando della Divisione a Campochiaro, preannunciando l’arrivo del Gen. Kleeman. Quando il Gen. Searoina giunse al suo Comando un suo subalterno lo informò della presenza dei tre ufficiali germanici e del prossimo arrivo del Gen. Kleemann. Non appena raggiunta la piazzetta del paese posta in prossimità dei locali del Comando divisionale Scaroina chiese loro notizie sulla venuta del generale Kleemann. Il Capitano Goedeckmeyer rispose che loro erano laton di un documento di Kleemann nel quale erano contenuti importanti chiarimenti (19-168) in effetti evidenziava che il comportamento offensivo da parte dell’Esercito Italiano in alcune località dell’isola obbligava la Divisione Rhodos ad assicurarsi i movimenti. Non è possibile avere le armi rivolte contro di noi. Di conseguenza la Divisione è costretta a chiedere all’Esercito Italiano la deposizione delle armi. Per l’Italia la guerra è finita ed èperciò inutile spargere altro sangue. Le truppe tedesche sono, però, obbligate a combattere contro gl’ italiani qualora questi non depongano le armi. Il Generale è libero di persuadere il Battaglione di Campochiaro a deporre le armi. Da quel momento chiamate telefoniche o l’abbandono del Quartiere da parte del generale stesso come del suo seguito non sono più ammissibili. Il Gen. Scaroina con il suo seguito deve considerarsi sotto la protezione tedesca. Veniva concesso un quarto d’ora per l’esecuzione delle richieste avanzate. Il Gen. Scaroina rifiutò e il Capitano Goedeckmeyer a questo punto gli comunicò che doveva ritenersi prigioniero unitamente al suo Stato Maggiore e che i germanici avrebbero proceduto all’immediato disarmo delle unità italiane presenti. Scaduto il quarto d’ora di tempo concesso al Gen. Scaroina la colonna motocorazzata germanica incominciò a sparare contro le posizioni italiane di Campochiaro. La resistenza opposta dalle nostre truppe presenti fu di breve durata, in alcuni caposaldi alquanto intensa, provocando perdite da ambo le parti. Il Generale Scaroina, riuscì in primo tempo ad ecchssarsi nella zona circostante ma venne, poi catturato dai tedeschi. Con la cattura del Comandante dopo le ore 13,30 i reparti italiani di Campochiaro dopo la vivace azione di contrasto contro i tedeschi si arresero. Ci furono pesanti perdite da ambo le parti.Lo scontro di Campochiaro del quale il Gen. Kleemann aveva fatto schizzi strategici ad uso della storia (vedi pag. 266) fu l’inizio dell’azione di disarmo prevista dal Piano Achse. Nelle ore e nei giorni che seguirono tutti i settori dell’isola fecero un esaltante quanto duro contrasto contro i germanici anche se per circostanze a loro non imputabili fu disgraziatamente sfortunato. Nel seguente capitolo vedremo in dettaglio tale resistenza che a Rodi unico modello della storia, fu combattuta ed espressa pur nelle diverse forme prima dai militari, poi dai civili contro i tedeschi, contro gl’inglesi e contro i greci. Bisogna finalmente prendere atto che la storia della nuova Italia è stata scritta non solo da coloro che pur animati da tante buone intenzioni svernarono nelle Langhe per poi sfilare «vittoriosi» in piazza Duomo a Milano ma è stata scritta anche dai caduti, dai prigionieri e dai profughi delle isole dell’Egeo e cioè da coloro, unici e soli che per pagare il prezzo della pace hanno dovuto abbandonare case, averi e costretti a vivere per molti anni nella tristezza e nella promiscuità dei campi di raccolta di Napoli, di Roma e di Bari come figli ignoti di una patria ingrata.
Il maggiore generale Ulrich Kleeman (nato il 23 Marzo 1892 a Langensalza morto il 3 gennaio 1963 a Oberursel press Francoforte sul Meno) comandante della Divisione Sturm Rodos. Prima di giungere a Rodi fu comandante del 90.o Reg,to fanteria leggera in Africa e fu ferito l’8 settembre 1942 ad Alam Halfa. Dopo la decisione del Comando Armate Est di evacuare le isole fu assegnato come comandante del IV Panzerkorps poi ridenominato Panzerkorps Feldherrnhalle nei Balcani. Nonostante le sue responsabilità obiettive nelle operazioni del settembre 1943, durante la successiva deportazione dei militari italiani si oppose decisamente agli ordini dell’ammiraglio Lange di ammassare migliaia di uomini nelle navi. Il boicottaggio di questi ordini feroci limitò le perdite umane conseguenti ai naufragi.
Conoscere nel dettaglio le vicissitudini di tanta gente offesa e disperata sarebbe stato per tutti i cittadini italiani pedagogico e salutare specie per le nuove generazioni. La storia di questa gente, però, è una storia dimenticata perché il nuovo Stato Repubblicano non sentendosi erede della guerra fascista, ha maliziosamente coperto tanti fatti storici e tanti avvenimenti davvero rilevanti con il pietoso velo della dimenticanza. Anche la politica e la storiografia degli ultimi cinquant’anni si sono soffermate solo sull’agiografia della cosiddetta resistenza metropolitana relegando la grande diaspora delle nostre Forze Armate a minimi cenni per lo più velati di sottile ironia. Un compito importante per la diffusione della cultura storica doveva sicuramente essere svolto dalle Associazioni Combattentistiche ma ciò, salvo poche eccezioni, non è affatto avvenuto perché i vari sodalizi sono ridotti a modeste conventicole, quasi ignorati dalla gente e che si ridestano solo negli sporadici raduni e revival a base di fiaschi di vino e pacche sulle spalle. Costituisce, quindi, atto di buona volontà aggiungere a questo volume dedicato all’Aeronautica dell’Egeo questa appendice riferita alla resistenza svoltasi nel Dodecaneso, che per i suoi aspetti tristi e devastanti non èstata affatto inferiore a quella tanto, in questi anni osannata, dai diaconi della Repubblica. Per tanti autori e critici storici di maniera la vicenda dell’Egeo veniva considerata una disonorevole disfatta perché quasi 40.000 soldati italiani si arresero a 7.500 tedeschi; una umiliante capitolazione da dimenticare in fretta. Tale opinione drasticamente negativa sui reduci e profughi dell’Egeo è rimasta tale fino al 26 Agosto 1954 allorquando nel porto di Bari attraccò la motonave «Montegrappa» stracolma di urne funerarie da tumulare nel Sacrario dei Caduti d’Oltremare. Erano le salme dei 1500 soldati che avevano lasciato la vita nel lontano Egeo. (vedi elenco in appendice).
Solo in quel momento la folla, ammutolita e commossa, che assisteva. al mesto sbarco, si rese conto che se tutti quei soldati non erano deceduti per influenza o per indigestione qualche motivo ci doveva pure essere. Il motivo, infatti, c’era e come, perché tutti quei soldati eroici erano caduti combattendo valorosamente contro i tedeschi nelle isole del Dodecaneso. Se a quella montagna diurne funerarie sommiamo anche i 13.500 prigionieri annegati nel mare Egeo, dove tuttora giacciono dentro le carcasse delle navi: «Donizetti», «Orion», «Petrella» ecc. abbiamo per intero il terribile quadro della diaspora che coinvolse le nostre Forze Armate nel Settore Mediorientale. Per gli addetti ai lavori, molto restii a rivisitare in sede storica i vari avvenimenti, tale fosco quadro di lacrime e di dolore si riduce e si stempera nelle tragiche previsioni badogliane, un mondo passato da dimenticare nel mare delle frustrazioni umane senza assoluto rimpianto anche se il tristissimo brontolio dei cannoni delle nuove guerre, addirittura più dissacranti delle precedenti, perché stimolate da odi etnici si percepisce sempre più distinto dalle dirimpettaie coste albanesi e iugoslave. Nelle pagine precedenti abbiamo visto quali furono gli errori e le omissioni che portarono la guarnigione dell’Egeo al fatidico 11 Settembre 1943 quando l’Ammiraglio Campioni offrì la resa ai tedeschi. Sarebbe, però, ingiusto e parziale non esporre in dettaglio l’eroico comportamento dei reparti di tutti i Settori dell’isola di Rodi che già dal primo pomeriggio del 9 Settembre iniziarono una decisa azione di contrasto contro le truppe germaniche.
Dopo la caduta del Comando Divisionale di Campochiaro con la cattura del Gen. Scaroina e del suo Stato Maggiore i tedeschi distrussero la rete di comunicazione rendendo inefficienti tutti i centri di controllo e comando. Ciò provocò l’isolamento quasi totale dei reparti dislocati nei vari Settori e quindi la disgregazione dell’archetipo unitario di difesa che fu totalmente e definitivamente stravolto. Anche il Generale Forgero Comandante Militare dell’isola, rimasto isolato nel suo Comando periferico di Monte Profeta, chiese al Governatore di trasferire il Comando stesso nel castello di Rodi a diretto contatto con Egeomil.