Il 9 dicembre del 1943, in terra lontana dall’ITALIA stravolta dalla furia di forze belligeranti su opposte fazioni, Gennaro Tescione, avvocato, giovanissimo ufficiale, di origine casertana, immolava la sua vita alla Patria. Gli venne concessa la Medaglia d’Oro al Va/or Militare alla memoria.
Da una monografia a lui dedicata dalla rivista della Società di Storia Patria di Terra di Lavoro, è tratta la seguente lettera di Stella Levi, inviata al padre.
“Rievocare la mia vita accanto al suo Gennaro è per me un dolore atroce, un male quasi fisico che m’impedisce di coordinare per bene un resoconto di quei giorni lontani. Non troverei parole e frasi adatte per descriverle ciò che Gennaro rappresentò per le Comunità Greca ed Israelita, quando entrambe furono prese di mira per essere oggetto di brutalità. Lo conobbi nell’estate del 1942 alla spiaggia di Rodi dove veniva quotidianamente a prendere il suo bagno. Il prof. Noferini, amico comune, presentandomelo mi disse: “Conoscerai così il migliore ufficiale dell’Egeo”. Il suo sguardo franco e leale, i suoi modi cortesi mi fecero capire al primo acchitto quale uomo onesto e retto egli fosse. Bastò poco tempo perché una fiducia illimitata sorgesse a rendere più profonda la nostra amicizia. Egli per me rappresentava la gioventù italiana, la bellezza, la cortesia, la raffnatezza dell’occidente, del popolo italiano, che egli mi insegnava ad amare. Sbadatamente, ignara delle gravi conseguenze, lo condussi nel nostro quartiere e lo presentai alle mie compagne, le quali furono entusiaste di lui. Fu allora assiduo frequentatore della nostra società, nonostante i gravi moniti fattigli da alcuni suoi superiori. Fui messa pure io in guardia ed allora lo pregai di non venire più da noi. A questa mia preghiera egli rimase silenzioso per cinque minuti e poi mi disse che io non lo stimavo abbastanza facendogli una simile preghiera e che egli era profondamente colpito dall’onta di cui l’Italia si era macchiata dando persecuzione, per la prima volta nella sua storia, ad un popolo che aveva come il suo tutti i diritti di vivere una vita pacifica. Divenne così l’eroe del nostro quartiere quando feci noto questo discorso ai miei correligionari. L’Ovra gli si accaniva contro e perché divenisse ad essa sempre più odioso e più popolare nei circoli greco ed israelita, gli fu affidata la difesa dei principali accusati del famoso processo delle Camicie Azzurre: un gruppo di personalità greche accusate di tramare contro l’Italia. Seguii giorno per giorno quel processo; accanto a me figli, padri, sorelle degli accusati pendevano dalla labbra del giovane avvocato. Non alzò mai la voce in Tribunale perché, mi disse poi, sapeva convincere i giudici anche col suo basso tono. Non posso descriverle il successo di quella difesa per la quale egli rischiò la sua divisa e la sua vita. Disse qualcuno che quel giovane avvocato difendeva i nemici della Patria. Quando lo riferii a Gennaro, egli mi forni tutte le prove dell’innocenza di quegli accusati. I greci nell’aula non facevano che acclamano sommessamente e nella loro lingua lo chiamavano “il nostro giovane eroe non volle mai una qualsiasi ricompensa per il suo lavoro; solo il Papas di Neocori, padre di uno degli accusati, per riconoscenza gli baciò la mano e gli regalò due cuscinetti lavorati a mano in stile greco, che egli avrebbe dovuto poi consegnare alla mamma. Alla fine della difesa tutti i colleghi l’abbracciarono commossi e qualcuno si permise di dire: “Diverrà il principe del foro napoletano”. Non ha mai voluto avere molti amici; buono e generoso con tutti non dava però la sua amicizia a chiunque facilmente. Apparentemente timido e timoroso, aveva una volontà ed una forza di carattere che non ho mai trovato in nessun altro uomo. Venne il fatale 8 settembre. Quando la sera lo incontrai, egli non volle pronunciarsi; certo, non era molto allegro poiché temeva, e il timore era fondato, tutti quei tedeschi che circolavano per la città. Presentì un pericolo per la sua patria che egli amava più della vita. Seguirono due giorni di combattimenti, ai quali seguì la resa. Tutti quegli ufficiali che non vollero aderire furono deportati in Germania. Fu tra i primi a voler scappare nelle isole vicine già in mano degli inglesi per poter fare ancora qualcosa che ripristinasse l’onore dell’Esercito Italiano. Quando già era tutto pronto per la fuga, cedette il suo posto ad un compagno e preferì rimanere sperando in una venuta imminente degli inglesi. Alla fine si trovò solo e cosciente che per Rodi non v’era più nulla da fare. I miei familiari si unirono a me pregandolo di scappare ma egli, sorridendo, due sere prima della sua tragica fine, ci assicurò che i tedeschi non l’avrebbero mai preso. In cuor mio speravo che all’ultimo momento sarebbe scappato però i gendarmi tedeschi andarono a casa sua ma, come egli promise, non lo presero vivo. Rese la vita alla Patria. Io desidero, e con me forse molti altri di Rodi che lo conobbero, che il suo nome e il suo gesto siano noti a tutti i giovani e dalla sua retta vita traggano esempio per l’avvenire.”
Stella Levi