Crimini e criminali durante l'occupazione militare tedesca e fascismo repubblicano
(Estratto da un articolo di Luca Pignataro pubblicato sulla Rivista Clio n. 3 anno 2001)
Il regime imposto dagli occupanti tedeschi
Le autorità italiane tennero ad evitare ogni collusione con quelle tedesche in campo giudiziario, respingendo la richiesta di fornire un giudice da aggiungere al tribunale militare tedesco quando si dovevano giudicare militari italiani’.
Wagener minacciava, in caso di uccisione di un soldato tedesco, la fucilazione di dieci appartenenti alla comunità del colpevole’.
Nel febbraio 1944 un’ordinanza del Comandante dell’isola di Rodi’ prevedeva che chi rifiutasse di eseguire i lavori ordinatigli da un ufficio delle forze armate o da altro ufficio autorizzato, venisse punito col carcere, con l’ergastolo e, nei casi più gravi, con la pena capitale.
Nell’aprile 1945 Wagener avvertì che chi rifiutava il lavoro era “un sabotatore”, riservandosi quindi l’applicazione senza riserve delle pene surricordate e spingendosi a minacciare, in caso di abbandono collettivo del lavoro, la fucilazione, su ogni dieci che rifiutavano, di uno estratto a sorte “per dare un esempio intimidatorio”55.
Tra 1944 e 1945, come misura atta a fronteggiare la gravissima carestia, venivano minacciati di morte tutti coloro, civili o militari, che sottraevano prodotti agricoli od erano ritenuti colpevoli di macellazione clandestina”7.
Il rigore estremo che il Comandante tedesco mostrò anche nei riguardi dei propri soldati che, pur godendo di una razione alimentare, si rendevano colpevoli di tali reati’58, colpiva però più spesso i militari italiani prigionieri, i quali erano più facilmente indotti a rubare ortaggi o bestiame perché ricevevano una razione insufficiente mentre erano costretti a lavori faticosi.
Quel rigore non era sembrato a Faralli appropriato nemmeno verso “un povero padre di famiglia che vede i suoi figli morire letteralmente di fame””9, ché tale era la situazione dei Rodioti.
Il generale tedesco dovette rimanere irritato dalla mitezza con cui i magistrati italiani punivano i trasgressori delle norme annonarie e “i ladri di qualche cavolo”.
Dalla fine del 1943 lo svolgimento dell’attività giudiziaria in Egeo rimase seriamente intralciato, a causa della penuria di magistrati e della difficoltà di comunicazioni tra le isole.
La Direzione degli Affari di Giustizia, affidata al console giudice Rino Rossi”0 presidente della Corte d’Appello, rimase tagliata fuori dalle autorità superiori in Italia conseguentemente, in qualità di capo dei servizi giudiziari del Possedimento, Rossi assunse tutte le funzioni demandate dalla legge al Ministro della Giustizia almeno per i casi inderogabili, come quelli previsti dagli articoli 147 e 176 del codice penale e 589 del codice di procedura penale, concernenti il differimento dell’esecuzione della pena’61.
Giunto in Italia Settentrionale come inviato del Governo delle isole, ottenne nell’aprile-maggio 1944 un decreto del Duce col quale il potere di grazia in Egeo veniva delegato al ‘Vice Governatore in assenza del Governatore, e le facoltì spettanti al Guardasigilli erano conferite al Direttore di Giustizia; il giudice penale del Possedimento, pronunciando la sentenza, poteva dichiararla esecutiva nonostante la proposizione di un ricorso in Cassazione’62.
Tale decreto risulterebbe inviato a Rodi soltanto in giugno’63 Faralli aveva emesso in maggio un decreto'” nel quale era previsto che, in caso di presentazione di domanda di grazia, il Governatore potesse disporre il differimento dell’esecuzione della pena, o sospendere l’esecuzione in corso, per il periodo di tempo che avesse ritenuto opportuno.
La situazione dei detenuti durante la carestia era critica perché, pur ricevendo una razione superiore a quelle estremamente esigue della popolazione civile, non potevano fare acquisti al mercato nero e neppure fare ricerca in campagna di vegetali selvatici più o meno commestibili; “si trattava in gran parte di individui tarati o di gente che aveva rubato per fame e perciò, in entrambi i casi, con minorata resistenza fisiologica.
Nulla perciò di strano che vi siano stati tra essi addirittura dei morti di fame come del resto ve ne erano ormai numerosi tutti i giorni tra il resto della popolazione”’65.
Il Vice Governatore ed i magistrati decisero di cercare di alleviare la situazione dei detenuti.
I magistrati fecero largo uso della condanna condizionale, e a coloro che avevano scontato più di metà della pena fu concessa quasi sempre la liberazione condizionale.
Faralli graziò alcuni detenuti e ad altri che apparivano non pericolosi concesse la sospensione’6′ a tempo indeterminato della pena, mentre quelli che si trovavano in peggiori condizioni di salute li fece ricoverare in ospedale.
Verso il marzo 1945 Wagener, saputo che le scorte di viveri delle carceri erano pressoché esaurite, propose che gli venissero consegnati i detenuti, in modo da poterli impiegare in lavori corrispondendo loro il vitto.
Faralli rispose negativamente, perché il Governo civile aveva la responsabilità del trattamento dei detenuti e non poteva lasciarli in mano altrui a scontare una pena differente da quella che era stata loro inflitta.
Wagener fece chiamare il procuratore generale Carmelo Chiodo, direttore delle carceri, ottenendo un altro rifiuto.
Dopo qualche giorno un drappello di militari tedeschi si presentò alle carceri facendosi consegnare tutti i detenuti tranne le donne e quelli in attesa di giudizio.
Le nuove proteste delle autorità italiane ottennero solo il rilascio di due detenuti che avevano presentato ricorso alla Corte d’Appello.
I detenuti furono condotti in un campo di concentramento denominato Casa dei Pini, dove restarono fino al termine della guerra, senza possibilità di ricevere visite di parenti o di sacerdoti e subendovi, come già i militari italiani prigionieri, un pessimo trattamento anche riguardo al vitto, tanto che alcuni di essi vi morirono.
Poiché il generale Wagener aveva dichiarato’~ che anche in avvenire avrebbe prelevato dalle carceri i condannati, il Vice Governatore dispose che le istruttorie riferentisi a detenuti la cui condanna appariva sicura fossero tirate per le lunghe, oppure che si invitassero i condannati, ogniqualvolta il reato non permettesse la condanna condizionale, a presentare subito il ricorso in appello.
Faralli, terminato il conflitto, ebbe a dichiarare 171 che dopo il settembre 1943 i tribunali del Possedimento non si occuparono di reati politici, poiché, tranne rare eccezioni, la polizia si asteneva da denunce del genere e, se queste venivano fatte, provvedeva a farle archiviare il Direttore degli Affari di Giustizia, carica tenuta dapprima da Rossi e poi, dopo la partenza di quest’ultimo per l’Italia, assunta direttamente dal Vice Governatore le autorità britanniche subentrate nel maggio 1945 certificarono che, tra i processi svolti durante l’occupazione tedesca da un tribunale italiano, non ve n’era alcuno di natura political72.
Faralli precisò altresì che “i nostri tribunali si astennero perfino dall’applicare le ordinanze tedesche ogni qùalvolta i reati perseguiti formavano oggetto di decreti governatoriali anche se di data anteriore alle ordinanze”.
Il 15 ottobre 1944 Wagener emise un Appello alla popolazione italiana del Dodecaneso, col quale ordinava che tutti gli uomini aventi cittadinanza italiana dai diciassette ai sessanta anni, che non appartenessero già al Reggimento Rodi (che comprendeva i militari italiani aderenti alle forze armate germaniche come combattenti, capeggiati dal maggiore Cerulli) od alla Guardia Nazionale Repubblicana (quei carabinieri, comandati dal tenente colonnello Mittino, che avevano giurato fedeltà alla RSI ed erano agli ordini del Governo civile) che non prestassero già servizio come aderenti combattenti o lavoratori presso reparti tedeschi, si presentassero agli uffici del distretto militare, per essere arruolati nel Reggimento Rodi “oppure nel fronte di difesa interna per lavori d’importanza bellica, se necessario anche nei posti occupati finora”.
Nessuno poteva sottrarsi all’obbligo del servizio militare o della mobilitazìone civile, neanche gli impiegati o collaboratori del Governo; chi si fosse rifiutato sarebbe stato portato in campo di concentramento e trattato secondo la legge militare, mentre il suo patrimonio sarebbe passato allo Stato.
L’Appello terminava così: “Non mi spaventa l’impiego di qualsiasi misura pur di condurre indistintamente tutti gli uomini italiani del Dodecaneso sul fronte della difesa.
Al fronte si PUO’ cadere, chi si astiene dal combattere la battaglia per il suo popolo DEVE cadere” (le maiuscole sono nell’originale).
Il minaccioso proclama non ebbe successo, perché i pochi giovani che non avrebbero potuto sottrarsi alla chiamata erano stati fatti arruolare da Faralli nei carabinieri , mentre gli altri dimostrarono di essere impiegati in attività indispensabili; il Comandante tedesco osservò che i nuovi arruolati avrebbero potuto godere di un migliore approvvigionamento, ma si dichiararono disponibili solo 25 cittadini italiani, dei quali circa la metà risultò inabile.
Il Reggimento italiano chiese al Comando tedesco di essere riconosciuto quale parte integrante dell’esercito della RSI e Berlino acconsentì.
Il generale Otto Wagener, comandante delle truppe tedesche sull’isola di Rodi, il capitano Helmut Meeske, i maggiori Johann Koch e Herbert Nicklas, l’ufficiale medico Christian Korsukewitz, il tenente Paul Walter Mai, il sottotenente Willy Hansky, il caporale Johann Felten, l’interprete Georg Dallago furono processati dal Tribunale Militare di Roma per numerosi crimini commessi nell’isola di Rodi.
Nonostante le condanne inflitte essi furono liberati in segreto tra il 1950 ed il 1951.
Otto Wagener, nazista della prima ora ed amico di Hitler, morirà nel suo letto nel 1971 come libero cittadino della Repubblica Federale Tedesca